Arteterapia come arte collettiva

Parte delle mie/nostre radici sono senza identità e sono comuni così come i nostri corpi.

Ho imparato nel mio lavoro come psicoterapeuta ed arteterapeuta che il corpo è un qualcosa che ci viene donato dai nostri antenati e che nascere non basta. Corpi come collage dinamici dei ritmi dei nostri caregivers, di coloro che si sono presi cura di noi nelle prime fasi dello sviluppo. Portiamo avanti gesti ed espressioni che magari vengono da molto lontano nel tempo.

Antenati senza nome, senza più identità, proprio come le nostre affezionate anime pezzentelle che nell’articolo Le nostre anime pezzentelle abbiamo potuto conoscere.

Fondamentale nei laboratori della mia scuola di arteterapia Poliscreativa è la possibilità di altrnare fasi fusionali a fasi identitarie. Oscillare tra l’ affermazione dell’identità e la possibilità di fondersi con l’identità dell’altro.

L’anonimato per noi è fondamentale proprio come anonime erano tutte quelle opere di scuola, di comunità e non d’autore, caratteristiche dell’arte collettiva.

Grande sostenitore dell’arte collettiva era Don Milani insieme a Giovanni Michelucci due esponenti del pensiero del ‘900 italiano a cui dobbiamo molto.

Questa è l’arte anonima, dove non è importante il narcisismo individuale, ma il piacere della collaborazione.

È proprio l’architetto Michelucci che nella prefazione al libro del Priore della scuola di Barbiana scrive:

“[…]Ma poi, non è forse la collaborazione un dare e ricevere e legare il proprio pensiero (quale che sia vasto o limitato) al pensiero degli altri per impastarlo e farne un unico pane? Non porta forse ogni uomo a sentirsi così un elemento di continuità nella storia?

Prefazione che fu poi tolta perché ritenuta dall’editore troppo difficile, ma che noi riteniamo preziosa.

A proposito dell’arte collettiva anche Ingmar Bergman, grande regista, considerato una delle personalità più eminenti della storia della cinematografia mondiale, quando in un’intervista gli chiesero se non fosse stato l’artista che è, quale artista vorrebbe essere stato?

Bergman rispose introducendo questo aneddoto: nel tardo medioevo in un paesino del nord-europa venne distrutta da un incendio una grande cattedrale gotica questa cattedrale era importantissima per la propria comunità, rappresentava un punto di riferimento emotivo importante così molti contadini, artigiani, gente del posto, lavorarono alacremente per ricostruirla e in pochi anni la ricostruirono.

Il regista rispose:”Se rinascessi vorrei essere uno di quegli artisti anonimi”

Il nostro modo di fare arteterapia ha radici proprio nell’arte collettiva e anonima, nel nostro bisogno di oscillare tra l’affermazione della nostra identità e nella possibilità di fondersi con l’identità dell’altro o meglio con la comunità, tutto secondo un andamento a spirale.