Biancaneve fugge nel bosco: il ruolo dei bias attentivi nell’ansia.

Biancaneve fugge nel bosco: il ruolo dei bias attentivi nell’ansia.

Che i classici dei film Disney siano complessi ed educativi, oltre che bellissimi, non è una novità. Ma talvolta si superano, come in questo caso. Il cartone di Biancaneve, in una delle sue scene più famose, ci spiega esattamente come funzionano i bias attentivi nei disturbi di ansia.

I bias attentivi fanno parte di quei “virus della mente” che attaccano il sistema cognitivo, e fa sì che una persona concentri maggiormente la sua attenzione verso uno stimolo specifico o un segnale sensoriale, a discapito degli altri.

Sebbene, come ogni bias, anche questi hanno una loro utilità evoluzionistica, impattano notevolmente le nostre capacità di giudizio e di azione, che vengono fatte in base alla considerazione di stimoli parziali.

Particolarmente importante è la funzione dei bias attentivi quando ci sentiamo emotivamente ansiosi, nel timore che una minaccia stia per accadere a breve. In che modo, ce lo spiega Biancaneve. Pronti? Fate un’attenta visione dello spezzone:

Rieccovi! Cosa avete visto?

L’espressione e il tono di voce del Cacciatore inducono in Biancaneve uno stato di paura, che la porta ad iper-focalizzare l’attenzione alla ricerca di una possibile minaccia. Così che il bosco conosciuto e tanto amato diviene spaventoso. Un gufo nell’oscurità diviene un albero minaccioso; i rami in cui si impiglia, divengono mani che cercano di prenderla; una roccia buia diviene una bocca che tenta di inghiottirla; e dei rami secchi nell’acqua diventano degli alligatori pericolosissimi. Non c’è possibilità di una interpretazione alternativa: il bosco vuole farle del male! Fin quando Biancaneve, esausta, crolla, e abbassando lo stato di attivazione la foresta torna ad essere un luogo sicuro.

Insomma, lo stato di ansia di Biancaneve la porta a prestare attenzione selettivamente a tutti gli stimoli ambigui, attribuendo ad essi un’interpretazione di minaccia. In letteratura molteplici studi mostrano di come gli individui sotto un forte stato di ansia elaborerebbero in maniera prioritaria gli stimoli veicolanti un significato di minaccia, senza prestare invece attenzione a stimoli di “sicurezza” o a elementi che consentano di fare un’interpretazione più completa e realistica di una situazione.

Inoltre, questi bias attentivi sembrerebbero orientarsi verso stimoli che hanno una certa specificità e coerenza con le paure più rilevanti per la persona. Ad esempio, immagina di avere una fobia specifica per i ragni, e di vedere un leggero movimento con la coda dell’occhio in un angolo scuro del soffitto (stimolo ambiguo) … scommettiamo che il primo pensiero sarebbe quello di aver visto proprio un ragno?