Contatto fisico

di Antonella Buonerba

contatto

“Dottoressa sono molto triste, non so perché..
Ho pensato al contatto fisico, al fatto che nel sesso raramente sono predisposta a “ricevere”, a farmi toccare per intenderci, lo faccio anche ma non è ciò che desidero. Questo pensiero mi ha ricordato che non amavo il contatto fisico nemmeno da bambina, tranne quelle volte in cui avrei voluto che mia madre mi abbracciasse, ma al di fuori di lei, mi infastidiva molto quando qualcuno entrava nel mio spazio personale ed è stato così finché non sono diventata grandicella. Intorno ai 20 anni ho allontanato questa cosa perché ho capito che era un modo di esprimersi degli altri e ho continuato a provare disagio. Quando gli altri mi abbracciano io non sento la bella sensazione di cui tanto si parla, penso che sia giusto sottopormi a quel contatto perché socialmente riconosciuto”.

Tale testimonianza trova radici nella teoria del l’attaccamento di John Bowlby, successivamente approfondita dalla sua allieva Mary Ainsworth.
Secondo tale teoria sin dalla nascita il bambino instaura un legame speciale con la figura adulta di riferimento. I comportamenti di attaccamento sono schemi pre-programmati, su base innata, inscritti nella nostra specie che si attivano spontaneamente e che aumentano le probabilità di sopravvivenza.

Lo psicoanalista Rene’ Spitz, attraverso le osservazioni sui neonati lasciati in orfanotrofi, ha studiato gli effetti della deprivazione materna ed emotiva sulla strutturazione della personalità dell’individuo rilevando come la qualità delle prime relazioni produca, in età adulta, significative differenze nella sfera affettiva e sessuale.

Nel caso della suddetta paziente, possiamo affermare che alla già grave mancanza di legami significativi (la paziente è stata adottata all’età di 4 anni), si aggiunge l’esperienza di una madre adottiva anaffettiva che non è stata sufficientemente in grado di colmare i “vuoti di amore” della prima infanzia.
Anche il padre adottivo non è stato particolarmente accogliente nei confronti della bambina che, trovandosi a vivere la fase del complesso edipico, al momento dell’adozione, ha visto esacerbarsi l’ambivalenza affettiva, inconscia, già tipica di questa fase di sviluppo, nei confronti dei genitori.
Per la bambina, infatti, secondo la teoria psicoanalitica freudiana, l’oggetto del desiderio diventa il padre verso il quale sviluppa l’invidia del pene e, il fatto di sapere di esserne priva, la porta a nutrire un risentimento per la madre, ritenuta responsabile di tale assenza. Ne consegue un sentimento di rabbia e di rivalsa che si traduce nel desiderio di ricevere dal padre un figlio come sostituto del pene. Quando questa aspettativa viene delusa, la bambina ritorna al legame con la madre e si identifica con lei. Ciò avviene nel corso della seconda infanzia e della prima adolescenza.
Quindi, se non viene risolto il complesso edipico, nella gamma dei possibili sintomi che il soggetto può sviluppare, in età adulta, osserviamo un apparente rifiuto del contatto fisico, la cui negazione viene contraddetta da un desiderio di amore non del tutto soddisfatto dai genitori reali.
Inoltre, si può ipotizzare che l’ambivalenza affettiva  si sia trasformata in una sorta di confusione a livello sessuale, spingendo la paziente a  sentirsi a  attratta da entrambi i sessi.
“Lavorare sull’edipo” attraverso l’elaborazione delle figure genitoriali e l’analisi dei sogni, porta la paziente ad uscire dall’empasse dell’ambivalenza affettiva e sessuale che veniva vissuta con particolare ansia.

Bibliografia
-Freud S. (1905) Tre saggi sulla teoria sessuale, OSF, 4
-Freud S. (1912-13) Totem e tabu, OSF 7
-Freud S. (1931) Sessualità femminile, OSF,11
-R. Spitz, Il primo anno di vita del bambino, Giunti-Barbera
-Edipo: rappresentazione antropomorfica del conflitto vitale. Scienza e psicoanalisi (rivista multimediale)