Crescere con l’ADHD. Come evolve il disturbo da deficit di attenzione ed iperattività nell’età adulta

di Roberto Ghiaccio

da Psicologinews Scientific

ADHD

L’ADHD, il disturbo da deficit di attenzione ed iperattività con o senza impulsività, è un disordine neuro evolutivo, che al contrario di quanto si è erroneamente creduto per decenni, non svanisce con l’età adulta, ma anzi permane con caratteristiche differenti. Il presente articolo ha l’obbiettivo di descrivere la cronicità del disturbo ed il suo evolversi sintomatologico delineando gli aspetti peculiari e ricorrenti nell’età adulta, come le forme Sluggish Cognitive Tempo, il mind wandering, e la disregolazione emotiva rintracciando tali fenomeni nell’adattamento quotidiano.

Da una giovane madre: Dottore… mio figlio, mio figlio è terribile, è una peste, e che mi sta facendo passare. La maestra mi chiama ogni giorno, a scuola è sempre distratto, si muove sempre, disturba una continuazione. E non vi dico a casa, si arrampica, cambia gioco una continuazione, non si sta un attimo fermo, a tavola si alza, mangia in posizioni strane….E al supermercato, una tragedia, vuole tutto, salta dal carrello, mette tutto dentro, certe figure…è distratto a fatti suoi, quando c’è qualcosa che gli piace guai a toglierlo, come al padre, si è proprio uguale al padre!

Mia suocera mi dice sempre, tuo figlio è uguale al padre! Da bambino che mi ha fatto passare…ma mio marito dottore anche ora è così, sempre distratto, si dimentica tutto a fatti suoi anche lui, fa spese folli, quando si ingrippa ( si fissa) su di una cosa quella è…e guai se non la ottiene, e mo va a a correre, mo va in bici, è irresponsabile, e poi, sempre agitato, ansioso, ed ora, ha cominciato anche a giocare…gioca alle macchinette, ecco anche il figlio gioca sempre alla play. Sono uguali, dottore, il figlio è tal e qual u padr ( è tale e quale al padre). Padre e figlio hanno l’ADHD.

Quando si par la della sindrome da iperattività e deficit dell’attenzione il confronto tra scuole di pensiero è più acceso che mai, trattandosi di un disturbo estremamente controverso sul quale sono stati sparsi fiumi di inchiostro. Il disturbo ADHD è solitamente evidente già in età prescolare e la storia dei bambini portatori di questa neuro-varietà spesso documenta una marcata irrequietezza motoria riconoscibile s i n d a l l e p r ime f a s i d i s v i l u p p o , accompagnata da facile distraibilità ed anche una discreta impulsività.

Nei primi anni di vita risulta difficoltoso formulare una diagnosi differenziale con altri disturbi dello sviluppo e soprattutto, d e t e r m i n a r e c o n s i c u r e z z a u n a compromissione funzionale del bambino.Si deve considerare inoltre che, a partire dai sei anni e via via fino all’adolescenza si ha una caratteristica tendenza dei sintomi di iperattività-impulsività ad apparire sempre meno evidenti e a manifestarsi per lo più come un disagio interiore represso, come un senso di irrequietezza e inadeguatezza.

L’inattenzione, viceversa, è sempre più evidente, come marcata difficoltà ad organizzare e a completare le attività intraprese, con conseguenti insuccessi scolastici e sociali. La dinamica di apprendimento e adattamento sociale sono fortemente condizionati dai fattori relazionali ed educativi e quindi hanno una grande importanza nell’esperienza del bambino con ADHD (Jansen F, 1992), è da notare come la presenza di ADHD può portare inoltre a deficit nella coerenza centrale (Ghiaccio R., Dragone D. 2019)

Non sono molti i dati relativi agli adulti con ADHD e occorre ricordare che fino a pochi anni fa si riteneva che tale disfunzione fosse “un’anomalia benigna” che si risolvesse con l’età. In realtà, soltanto un terzo dei bambini con ADHD da adulti non manifesta più sintomi di disattenzione o di iperattività, indicando in questi casi, che il disturbo era da correlarsi ad un ritardo nello sviluppo dell’attenzione e più in generale delle funzioni esecutive, piuttosto che ad un vero e proprio disturbo.

Durante l’adolescenza si osserva una lieve attenuazione della sintomatologia, ma di fronte alle richieste della società e in seguito ai frequenti insuccessi, il soggetto è portato a sviluppare tratti comportamentali quali: scarsa obbedienza alle regole, scarsa tolleranza alla frustrazione, scatti d’ira, ridotta autostima, scarsa fiducia in se stesso, sintomi ansioso – depressivi. Ne consegue c h e l ’ADHD p u ò c omp r ome t t e r e , significativamente, la qualità della vita della persona che ne soff re, minando le componenti di attività e partecipazione.

Alla luce di quanto fin qui esposto, appare estremamente importante fare una diagnosi corretta e in tempi precoci, in modo da poter aiutare il bambino e la famiglia a superare quelle problematiche che, nel tempo, possono interferire negativamente sullo sviluppo equilibrato e armonico della sua personalità. Poiché l’ADHD è un disturbo cronico che espone bambini e adolescenti al rischio di andare incontro a numerosi deficit funzionali, il trattamento deve iniziare molto precocemente ed essere multi-modale

Una disabilità che potremmo definire invisibile, ma che come un’ombra cupa segue il soggetto in ogni ambito della propria vita. L’ADHD è un disturbo cronico, che può permanere come tale oppure modificarsi persistendo con altre caratteristiche sintomatologiche ( Faraone et 2006). Appare tuttavia riduttivo identificare l’ADHD con le difficoltà di attenzione, in quanto risulta nella processione dei sintomi e nell’adattamento quotidiano molto più articolato, andando ben oltre la “semplice” descrizione nosografica.

I bambini che da piccoli sono agitati, da adulti si renderanno probabilmente conto di avere bisogno di inserire nelle proprie vite e nei propri lavori una grande quantità di attività (Adler, 2004); potrebbero infatti agitarsi molto se viene loro richiesto di lavorare in situazioni eccessivamente monotone o sedentarie. Per molti individui con ADHD l’agitazione si sposta da quella psicomotoria verso un aumento delle attività finalizzate a un obiettivo, diviene un iperattività cognitiva, un multitasking fisiologico, che porta però al fallimento di tutti i focus accesi.

In alcuni casi l’agitazione sperimentata da alcuni adulti con ADHD può condurre a risultati positivi, consentendo alla persona di svolgere più lavori contemporaneamente o di occuparsi di più progetti, trasmettendo energia a tutto l’ambiente che li circonda (Weiss et al.,1999). Molti adulti con ADHD si trovano, tuttavia, a dover affrontare numerose “sfide” sui propri posti di lavoro, in quanto impulsività ed iperattività possono avere effetti a cascata anche sul clima lavorativo, e potrebbero spesso essere scambiati per peculiari caratteristiche di personalità.

Tali individui devono, infatti, compiere un grosso sforzo per cercare di rispettare scadenze, organizzare il materiale, assegnare un ordine di importanza ai vari compiti da svolgere e gestire il proprio tempo. Weiss e Hechtman (1999) hanno individuato nella “gestione del tempo “e nella “negligenza” gli ostacoli maggiori che un adulto con ADHD deve affrontare. Ciò può avere a che fare con l’iniziare, il completare e il modificare vari compiti. La processione sintomatologica diviene una limitazione ed una restrizione che impedisce il pieno adattamento.

Gli effetti sul piano emotivo riguardano invece principalmente le difficoltà ad auto-regolarsi e la sensazione di essere “travolti” o fuori controllo (Nadeau, 2005). Così come la disattenzione può recare maggiori difficoltà agli adulti con ADHD rispetto ai bambini, anche i sintomi di impulsività possono provocare conseguenze maggiori negli adulti che nei più piccoli. Una persona con ADHD potrebbe infatti ritrovarsi a lasciare un lavoro o interrompere una r e l a z i o n e d i p r o p r i a i n i z i a t i v a , improvvisamente contro il proprio interesse.

Autori come Weiss (1999) individuarono, come aspetti sintomatici fondamentali negli adulti, la “negligenza”, un “senso persistente di fallimento”, una “scarsa capacità di gestione del tempo” e la “tendenza a i n t r a p r e n d e r e p i ù a t t i v i t à contemporaneamente”. Di fficol tà di pianificazione ed auto organizzazione, deficit inibitori, sensazione di agitazione ed irrequietezza, possono apparire facilmente eccitabili e spericolati, ma talvolta possono anche essere ipo attivi, lenti, quasi letargici, “con la testa tra le nuvole” tipo sluggish.

Sono però quasi sempre presenti nella maggioranza dei casi pregresse difficoltà scolastiche, difficoltà relazionali e criticità lavorative. Le problematiche sociali specie in soggetti contrassegnati da iperattività si manifestano con l’insofferenza alle regole, incapacità nell’attesa e nel rispetto dei turni, e alle volte criticità nel cogliere i pensieri ed gli stati d’animo altrui. I soggetti per lo più a disattenzione predominante possono sembrare passivi, riservati, estremamente disinteressati e finanche poco empatici.

La presenza dello spectrum disorder ADHD nell’adulto è sottovalutato, sia per l’ingenuo retaggio che passa con l’età, sia per una sorta di offuscamento diagnostico causato da quei disturbi che siamo più soliti diagnosticare nell’età adulta, così la comorbidità finisce per adombrare la diagnosi primaria di ADHD. La co-ocorrenza sia etero tipica che ipso tipica dell’ADHD finisce delle volte per creare confini labili, e spesso confusi, ma l’ADHD come molti disordini del neuro sviluppo ha una forte tendenza alla sovrapposizione.

La classica iperattività motoria negli adulti può essere sostituita da un sensazione soggettiva di irrequietezza o continua tensione, il deficit di attenzione riguarda maggiormente l’ attenzione sostenuta con fenomeni di start attentivo ritardato e mancato focus sui dettagli, con relative difficoltà nell’adattamento quotidiano nelle aree sia interpersonali che lavorative. La variazione sintomatologica nella prospettiva life-span può far pensare a differenti profili cognitivi e comportamentali in base anche al principale deficit attentivo.

Senza voler richiamare i criteri diagnostici dei vari DSM, vale però la pena ricordare che la precedente tripartizione in sottotipi del DSM IV, viene eliminata dal DSM 5, il quale non parla di stabili sottotipi ma di manifestazioni preponderanti. Tale passaggio non è una mera questione terminologica, ma u n a d i f f e r e n z a n o s o l o g i c a n e l l a comprensione del disturbo, di fatti il DSM IV ascrive ADHD a i disturbi del comportamento dirompente in un unico capitolo, mentre il DSM 5 pone l’ADHD tra i disturbi, o meglio i disordini del neurosviluppo.

La distinzione tripartitaria pone alcune criticità relative all’instabilità evolutiva dei profili e alla riposte al trattamento, Diamond sottolinea che l’ADHD senza iperattività, è una locuzione imbarazzante che rischia di comprimere l’ADHD in una scatola che non le appartiene. Per l’autore l’acronimo ADHD dovrebbe essere utilizzato solo quando è presente l’iperattività, come l’acronimo stesso suggerisce, deponendo per le forme inattentive o disattente l’inserimento in sindromi disesecutive ad esordio nell’ infanzia.

L’approccio del DSM pone talune critiche circa l’incompletezza e scarsa applicazione dei corredi sintomatologici all’età adulta. Ad avviso di autori come Miloch, Heiligenstein e lo stesso Barkley non vengono riportati sintomi cardine per gli adulti quali la tendenza a procrastinare, l’iper reattività, l’intolleranza all’attesa ed alle frustrazioni, la difficoltà a gestire il tempo e la bassa mo t i v a z i o n e , i n o l t r e ma n c a u n a specificazione d i f f e r e n z i a l e t r a i primariamente disattenti e i cosiddetti tempo cognitivo lento, sluggish.

Nell’assumere la prospettiva life span la quinta edizione del DSM, articola la diagnosi su due paramet r i disat tenzione e/ o iperattività ed impulsività persistenti che interferiscono con il funzionamento e lo sviluppo, cambia il peso attribuito nell’arco di vita ai vari sintomi, declinando in età adulta la compromissione circa i l funzionamento e l’adattamento sociale e lavorativo, tale viraggio però non è corroborato da una descrizioni di sintomi adeguati ed appropriati adatti all’età adulta,, m a n c a n d o d i u n a d e s c r i z i o n e fenomenologica comportamentale e neuropsicologica.

Rispetto le versioni precedenti, l’attuale DSM, cambia sia il criterio dell’età di insorgenza, sia il criterio numerologico dei sintomi presenti. Passa dai prima dei sette anni a prima dei 12 anni e fino ai 17 anni; prima dei 17 anni richiede la presenza di 6 sintomi in ogni dominio dopo i 17 di 5 sintomi. Tuttavia nonostante la pubblicazione del manuale diagnostico 0-5, non c’è alcun cenno agli esordi precoci e agli aspetti toddler.

Lo spostamento della soglia d’età tiene conto della diversa fenomenologia diagnostica Lo spostamento della soglia dopo 17 tiene conto che con l’età il numero di sintomi può ridursi, tuttavia c’è chi ritine che il cut-off dopo i 17 anni possa essere ridotto a 4 sintomi in presenza di una storia clinica di significativa compatibilità ( Soltano 2012, Kooij 2005). Tenendo conto che i sintomi possono ridursi e che menomazioni, limitazioni e restrizioni continuano ad essere presenti. Coerente con l’ultimo DSM è l’ICD 11 che abbandona il termine disturbo ipecinetico accogliendo età di esordio e manifestazione del DSM 5.

Oltre le questioni nosografiche, il disturbo, può essere declinato con una configurazione a due vie, i sintomi di disattenzione legati alle funzioni esecutive ( Pennigton, Nigg) e i sintomi di iperattività/impulsività legati al risi decision marketing ( Toplan,Tannok). La sfida è comprendere la tendenza alla sovrapposizione e la separabilità delle due vie, aprendo una terza via, un fattore disattentivo, uno impulsivo-iperattivo ed un fattore generale che spiega la trans – covariazione in entrambi i domini (Tolpak 2009).

Tali componenti possono portare, o meglio quasi sempre portano manifestazioni eterogenee dello stesso disturbo, ne consegue che l ’espressione fenotipica è cosi estremamente variabile sia livello trasversale inter diagnostico che a livello trasversale temporale intra personale. Ad una analisi ancor più dettagliata si potrebbe suddividere la via di iper attività-impulsività in sentieri verbali e motori ognuno con un proprio corredo sintomatologico segnato dal mancato rispetto delle regole del contesto, da scarsa empatia, e da inadeguatezza situazionale.

Ritenendo l’ADHD un disturbo dello spettro, a d u n e s t r emo a b b i amo g l i a l t i funzionamenti, in grado di affrontare le sfide evolutive e quotidiane, nonostante la t e n d e n z a a l l a d i s o r g a n i z z a z i o n e , l’irrequietezza la propensione all’impulsività cognitiva, all’altro estremo troviamo e persone con un basso funzionamento, che hanno notevoli difficoltà di adattamento, nell’autocontrollo e nel mantenere le relazioni ; quest i possono st rar ipare facilmente nelle dipendenze o in disturbi della condotta. Ad influire oltre la genetica e le comorbilità vi è la tempestività dei trattamenti multimodali.

Dalla letteratura emerge il lento trasformarsi dell’iperattività, con la sua tendenza a diventare socialmente meno evidente, da qui l’indicazione del DSM 5 ad un numero inferiori di sintomi e a non limitarsi a constatare la manifestazione percettibile, l’ipercinesia visibile prototipica dell’età evolutiva, ma ad indagare la sensazione soggettiva di irrequietezza ed agitazione, magari allargando la fonte clinica alle persone di riferimento, familiari di origine, c o n s u l t a z i o n e d i v e c c h i e p a g e l l e , eventualmente partner.

L’iperattività diventa difficoltà a dilazionare l’attesa, impulsività cognitiva o anche particolare incapacità a cogliere i dettagli. Può sussistere la tendenza a sport estremi o condotte sportive estreme, che possono arrecare una sensazione di sollievo, nonostante l’intensità degli allenamenti può por tare ad ul ter ior i compl icazioni . L’iperattività può manifestarsi come iper verbosità, opacità sematico-pragmatiche, difficoltà metalignusitiche alte, fino a difficoltà nella regolazione prosodica e prossemica, che possono peggiorare la sensazione di inadeguatezza e inaccettazione.

L’iperattività fisica, diventa iperattività mentale con relativa difficoltà a stare tranquilli, tale iperattività piò essere socialmente accettabile con una sorta di sfrenato multitasking oppure può prendere le sembianze della stanca procrastinazione, cioè cominciare mille cose e non portarne nessuna a termine, nel tentativo di ricorrere le novità nel solco della sensation seeker. All’estremo può trovarsi l’ipoattività, percepita dall’esterno come distacco, disinteresse e passività. Tali soggetti sembrerebbero, assenti, persi, e potrebbero avere scompensi nei network più temporali.

Il termine disattenzione non deve far cadere nell’equivoco di deficit di attenzione, ma si ascrive ad un’ alterazione del sistema e del controllo attentivo, alterazioni in selezione precoce o posticipata, ritmo attentivo e problematicità nel mantenere l’attenzione sostenuta con facile labilità, dovuta a criticità di inibizione. La compromissione attentiva implica intimamente un deficit nel costrutto de l l ’ inibi z ione , con r i c adut e sul l a pianificazione, sulla capacità decisionale e sulla capacità di goal setting, il discontrollo inibitorio riguarda non solo gli stimoli estremi ma anche quelli interni.

Il termine disturbo da deficit di attenzione è dunque un termine ombrello, che rimanda a differenti circuiti attentivi, va tenuta in considerazione che i test neuropsicologici difficilmente possono cogliere tutte le sfumature delle difficoltà del controllo attentiv-esecutivo, in quanto la validità ecologica può non rendere giustizia alla complessità dell’ambiente esterno reale, semplificando così la complessità valutativa con il rischio di sottovalutare alcune disfunzioni a causa dell’inadeguatezza di taluni strumenti, creando un effetto testogeno che porta alla sotto diagnosi.

Mentre iperattività ed impulsività tendono a ridursi la disattenzione persiste, e diventa un discontrollo attentivo, ossia un’attenzione vulnerabile e particolarmente dipendente dalle fonti attrattive sia interne che esterne, nonostante la maturazione cerebrale delle aree frontali, subentrano difficoltà di a u t o r e g o l a z i o n e c h e mo d i fi c a n o l’espressione della disattenzione mediante un deficit di inibizione ( Wolraich 2005). Tale deficit di inibizione rende ulteriormente estremamente variabile l’espressione fenotipica e temporale, imponendo una dipendenza situazionale-contestuale

Nella vita l’adulta la disattenzione può manifestarsi sia come residui deficit negli apprendimenti che come difficoltà a f o c a l i z z a r s i s u d e t t a g l i , c a p a c i t à organizzative, puntualità, mantenere gli obbiettivi e rispettare le priorità. Ma il mancato controllo può portare anche a fenomeni pseudo ossessivi e di di ostinazione. Indicatore comune della disattenzione è la tendenza ad abbandonare, a procrastinare, a non fare più, ad essere disorganizzati. Il sistema maggiormente deficitario appare tuttavia ancora l’attenzione sostenuta con ripercussioni sulla memoria di lavoro (Nigg 2005)

La sensazione di essere catturati da altre fonti rappresenta il deficit di inibizione, che non si limita agli stimoli esterni ma riguarda anche gli stimoli interni, difficoltà a bloccare i pensieri irrilevanti rispetto alle attività, con secondario deficit di updating e confusione decisionale, dando la sensazione di essere sulle nuvole, avulsi dal contesto, persi nelle fantasie, incapaci di gestire quanto gli avviene intorno. Tale sintomo può avere ampie ricadute specie in ambito lavorativo, e familiare con possibili conflitti secondari alle dimenticanze.

All’estremo della disattenzione troviamo fenomeni di iperfocusing, facilmente confondibili con delle ossessioni. In realtà il soggetto non riesce a staccare, a shiftare la sua attenzione dalle fonti di interesse che lo catturano e lo gratificano (Brown 2006). L’ a p p a r e n t e c o n t r a d d i z i o n e d e l l a dell’iperfocusing, amplia la declinazione delle difficoltà del sistema attentivo, tale deficit sembra essere stabile nell’arco di vita, creando quadri pseudo-ossessivi con profonde difficoltà di switch e controllo attentivo anteriore.

L’impulsività si declina anch’essa come costrutto multimodale che comprende l’incapacità di attendere, il disinteresse per le conseguenze, la scarsa pianificazione delle proprie azioni. Core deficit è l’incapacità ad inibire, ad inibire comportamenti in questo c l u s t e r . Come p e r g l i a l t r i c o r e sintomatologici anche l’ impulsività tende a diminuire ed a trasformarsi, avendo comunque pianti ricadute interpersonali e sociali. Tale impulsività potrebbe essere alla base anche di una condotta economica disregolata che porterebbe poi a forme di ludopatia.

Possono r icor rere compor tamenti di sensation seeking, per cui il soggetto necessita di costante eccitazione, con ricerca di nuovi stimoli, compiendo talune volte atti spericolati, come giuda pericolosa, a z z a r d i fi n a n z i a r i , a l ime n t a z i o n e incontrollata, abuso di alcolici, alla ricerca dell’immediata gratificazione. Tali condotte sono legate all’incapacità di inibizione, che interessano differenti neuro trasmettitori, dopamina e noradrenalina, delineando così endofenotipi estesi ed eterogenei.

Anche se manca come criterio diagnostico cardine, la disregolazione emotiva, appare un elemento clinico di rilievo, un tratto tipico ricorrente, che impedisce la flessibilità e la consapevolezza nel raggiungimento dei propri scopi. La disregolazione può manifestarsi come facile irritabilità, difficoltà n e l g e s t i r e l a r a b b i a , c o n fl i t t i , cont rappos izione e col laborazione, intolleranza alle frustrazioni. La complessità multidemensioale e multi sistemica delle componenti regolatrici includono molteplici processi neurobiologici, che coordinano la regolarità adattiva.

In comune a tale tratto c’è il mind wandering, il vagare con la mente. Tale tratto non rientra nel corredo sintomatologico dei manuali diagnostici ufficiali, ma ha una affinità con “pensieri incongrui”. Il vagare può essere rintracciato in due forme, una costituita da pensieri autogenerati, interni ed intenzionali, una seconda che insorge spontaneamente e può interferire con lo svolgimento di compiti. Negli ADHD rappresenta l’inattivazione del controllo, comportando cadute osservabili in contesti scolastici e lavorativo-relazionali.

La letteratura evidenzia due modalità differenti di mind wandering, una tipica di forme depressive caratterizzata da fissità del pensiero, elaborazione eccessiva di negatività e difficoltà a sganciarsi da aspetti negativi, la seconda include variabilità di contenuti, pensieri non congrui al tempo, “ lampi” brevi poco focalizzati, privi di schemi ripetitivi e vulnerabili agli aspetti ambientali. Questi aspetti sono tipici dello spettro ADHD. La mancata consapevolezza di tale f e n ome n o o s t a c o l a i t e n t a t i v i d i autoregolazione ed alimenta le conseguenze negative.

È necessario che il clinico abbia presente la complessità dell’ADHD, un disturbo non formato da una singola entità, non ben rappresentato dalle manifestazioni designate dagli attuali manuali diagnostici, ma un disturbo spettro, che influisce sulle prestazioni accademiche prima, lavorative poi, e che costantemente può minare l’adattamento sociale. Per migliorare l’accuratezza diagnostica ,oltre a servirsi di scale, test, questionari è bene approfondire la biografia del soggetto tenendo ben presente tutte le sfaccettature del disturbo.

Il padre con cui abbiamo cominciato il nostro viaggio nel crescere con l’ADHD (quello uguale al figlio) non è stato diagnostico in età evolutiva è stato diagnostico, tardi, molto tardi, quando già il figlio era stato diagnostico ADHD. Come sarebbe stata la vita di quest’uomo? quanti fallimenti,?quanti problem relazionali e scolastici? Quante sofferenze avrebbero potuto avere un nome, e da questo nome potevano discendere trattamenti mirati, training specifici, coacing ecologici. Alla fine non è mai troppo tardi per ricevere una diagnosi. Facciamo più attenzione al deficit di attenzione.

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