Decidere di pancia

di Umberto Maria Cianciolo

decidere di pancia

Cosa guida realmente le nostre scelte? Siamo sicuri che ogni nostra decisione si basi solo su aspetti razionali? Se dovessimo scegliere tra due o più alternative valide, tra cui non sapremmo deciderci, cosa guiderebbe la nostra scelta?

Questi sono gli interrogativi da cui è partito lo studio di Antonio Damasio e colleghi (Damasio, 1974, 1994) che, osservando pazienti con danni alla regione prefrontale ventromediale, rimasero sorpresi nel constatare che questi avessero difficoltà nel pianificare la propria giornata e il proprio futuro, e difficoltà a scegliere amici, partner e attività, nonostante gran parte delle abilità intellettive (apprendimento, memoria, attenzione, QI) fossero preservate (Damasio, Everitt e Bishop, 1996). Inoltre, Damasio osservò che in questi pazienti era compromessa la capacità di esprimere emozioni e provare sentimenti in situazioni in cui ci si sarebbe aspettato il contrario. Da quest’ultima osservazione, Damasio teorizzò l’esistenza del marcatore somatico: l’attivazione viscerale, neuro-biologica, nel momento in cui dobbiamo prendere una decisione, guiderebbe la nostra scelta, e di ciò possiamo esserne consapevoli come inconsapevoli.

Tale attivazione neuro-biologica, che guiderebbe il nostro ragionamento e processo decisionale, dipenderebbe dalla disponibilità di informazioni relative alla situazione, ai soggetti, alle opzioni di scelta e agli esiti che da queste deriverebbero.

Per verificare ciò, Damasio e colleghi (1996) hanno messo a punto lo Iowa Gambling Task, basato sulle dinamiche del gioco d’azzardo, coinvolgendo soggetti con danni prefrontali e deficit decisionali (gruppo sperimentale) e soggetti “sani” (gruppo di controllo). Tale compito, secondo gli autori, rispecchierebbe moltissime situazioni quotidiane che, come nel gioco, sono associate a situazioni incerte di punizione e ricompensa e, quindi, a concetti quali il piacere e la regolamentazione dell’equilibrio omeostatico, compresa la necessità di regolazione emotiva (Damasio et al., 1997).

Damasio (1996) ha individuato nella corteccia prefrontale ventromediale la regione cerebrale fondamentale per l’apprendimento dell’associazione tra alcune “classi” di situazioni complesse e il tipo di stato bioregolatorio associato (tra cui quello relativo alle emozioni).

La porzione ventromediale agirebbe nel mantenere il potenziale emotivo da mettere in moto, attraverso l’azione amigdaloidea, in specifiche situazioni e contesti. Il ragionamento esplicito che precede la presa di decisione, dunque, sarebbe preceduto da un’attivazione inconscia che lo supporta.

I giocatori ricevevano quattro mazzi di carte e un prestito di duemila dollari (facsimili). Gli veniva chiesto di giocare in modo tale da perdere la minima quantità di denaro e vincerne il più possibile. Contestualmente veniva registrata la loro risposta di conduttanza cutanea. Girare una carta comportava una vincita immediata di 100 dollari nei mazzi A e B, di 50 dollari nei mazzi C e D. Tuttavia, girare alcune carte comportava anche una penalità, maggiore nei mazzi A e B più che nei mazzi C e D. Dunque, giocare con i mazzi A e B conduceva ad una maggiore perdita, al netto delle maggiori vincite. Al contrario, giocare coi mazzi C e D conduceva ad una maggiore vincita, al netto di maggiori perdite.

I partecipanti non erano a conoscenza di quando avrebbero pescato la carta che dava penalità, nessun modo di calcolare quale mazzo avrebbe dato la maggiore vincita e quale la maggiore perdita e nessuna conoscenza rispetto a dopo quante carte sarebbe terminato il gioco (dopo 100 carte).

Dopo aver riscontrato alcune perdite, i soggetti con danni bilaterali alla corteccia prefrontale ventromediale, al contrario dei soggetti di controllo, non generavano una risposta di conduttanza cutanea prima di selezionare una carta dai mazzi che portavano a maggiori perdite e non evitavano di pescare da questi mazzi (Bechara, Damasio, Tranel e Damasio, 1997).

Per verificare se i soggetti ragionassero sulla natura del gioco già dopo i primi pescaggi o solo dopo, durante lo svolgimento del compito erano valutate 3 informazioni in 10 partecipanti di controllo e in 6 pazienti: risposta comportamentale, cioè il numero di carte selezionate dai mazzi che portavano a maggiori vincite rispetto a quelli che portavano a maggiori perdite; come anticipato, gli indici di conduttanza cutanea prima che ciascuno pescasse da un mazzo; una risposta verbale da parte di ciascun soggetto sulla natura del gioco e sulla strategia che stavano mettendo in atto. Quest’ultima risposta era registrata ogni 20 carte che il soggetto pescava (aveva già subìto almeno una penalità), ponendo le seguenti domande: “Dimmi tutto quello che sai su ciò che sta succedendo in questo gioco” e “Dimmi cosa ne pensi di questo gioco”.

Dopo aver testato tutti e quattro i mazzi, e prima di riscontrare perdite, i soggetti preferivano i mazzi A e B, non generando una risposta di conduttanza cutanea significativa. Dopo aver riscontrato alcune perdite nei mazzi A e B (verso la carta numero 10), i partecipanti “sani” iniziavano a sviluppare una risposta di conduttanza cutanea per questi mazzi. Arrivati alla ventesima carta, tuttavia, tutti sostenevano di non aver ancora capito la logica del gioco. Alla cinquantesima carta, tutti i partecipanti “sani” iniziavano ad esprimere il proprio sospetto rispetto al fatto che i mazzi A e B fossero rischiosi e manifestavano una risposta di conduttanza cutanea ogni volta che pensavano di scegliere una carta dai mazzi A e B.

All’ottantesima carta, molti partecipanti “sani” iniziavano ad esprimere i propri pensieri sul perché, nel lungo periodo, i mazzi A e B portassero a maggiori perdite e C e D fossero quelli con maggiori guadagni.

Sette dei dieci partecipanti “sani” monitorati raggiunsero quest’ultimo step di presa di coscienza, continuando ad evitare i mazzi negativi e generando una risposta di conduttanza cutanea ogni qual volta meditassero di pescare una carta dai mazzi negativi. Sorprendentemente, anche gli altri tre dei dieci, pur non raggiungendo questo livello di consapevolezza, fecero delle scelte vantaggiose.

I pazienti, anch’essi monitorati, raggiunsero questo livello di consapevolezza ma, nonostante ciò, perseveravano nello scegliere le carte dai mazzi che portavano a maggiori perdite (A e B) e non generavano una risposta di conduttanza cutanea preventiva.

Da questi risultati, gli autori conclusero che la rappresentazione sensoriale di una situazione che richiede la presa di decisione porti a due catene di eventi, paralleli ma anche interagenti (Bechara, Damasio, Tranel e Damasio, 1997).

Nella prima, o la rappresentazione sensoriale della situazione o la rappresentazione dei fatti, evocata da essa, attivano sistemi neurali che possiedono una conoscenza correlata a precedenti esperienze emotive dell’individuo in situazioni simili. Come detto, la corteccia prefrontale ventromediale gioca un ruolo chiave in questo processo attivando a sua volta regioni fondamentali per la trasmissione emotiva. I segnali (marcatori) che ne conseguono fungono, quindi, da “pregiudizi nascosti” (ibidem) che supportano i processi di valutazione e ragionamento.

Nell’altra catena di eventi, la rappresentazione della situazione genera il richiamo esplicito di precedenti esperienze che permette l’analisi delle varie alternative e la predizione di eventuali risultati conseguenti.

L’esperimento condotto dagli autori mostra come l’attivazione, implicita e inconscia, dei marcatori (arousal fisiologico) preceda il ragionamento esplicito sulla situazione.

L’attivazione neuro-biologica ottimizza l’elaborazione efficiente della situazione necessaria per pervenire a decisioni consapevoli (Damasio, 1996). Tale attivazione è la prova di un complesso processo di segnalazione inconscia che riflette l’accesso a precedenti esperienze individuali modellate dalla ricompensa, punizione e dallo stato emotivo ad esse associato. Un deficit alla corteccia prefrontale ventromediale impedisce l’accesso a un particolare tipo di esperienze pregresse registrate e correlate a quelle attuali. Questi pazienti avevano difficoltà ad anticipare le conseguenze delle loro azioni e non apprendevano dai loro errori (Bechara et al., 1994).

La corteccia prefrontale ventromediale ha numerose connessioni con quella insulare e cingolata, con l’amigdala e l’ipotalamo, tutte aree coinvolte nell’elaborazione emotiva. Poiché si riteneva che le emozioni avessero un potere distruttivo sui processi decisionali, fu sorprendente scoprire che una compromissione a una regione coinvolta nelle emozioni risultasse in un deficit relativo ai processi decisionali.

Dunque, possiamo concludere dicendo che tre tipi di emozioni influenzano i processi decisionali: lo stato emotivo attuale, le emozioni anticipatorie rispetto alla decisione e le emozioni che ci aspettiamo di sentire dopo aver preso una decisione.