Declino e demenza: che spiegazioni trova il cervello?

Molti di noi hanno persone care con problemi di declino cognitivo, demenza o Alzheimer, che costruiscono interpretazioni degli avvenimenti distorte e lontane da una realtà che a noi appare oggettiva. Ma che cosa succede al nostro cervello quando è affetto da demenza? Come riesce a costruire una narrazione della quotidianità? Come attribuisce senso alle cose?

Dasha Kiper è una psicologa e scrittrice, specializzata in consulenza e supervisione ai caregiver di persone con demenza e Alzheimer. Ha recentemente pubblicato un libro che ci permette di capire meglio le logiche che il cervello costruisce quando si discosta dalla realtà e anche le reazzioni di chi sta accanto a queste persone: il titolo è “Travelers to Unimaginable Lands: Stories of Dementia, the Caregiver, and the Human Brain”.

Si tratta di un viaggio affascinante, pieno di comprensione e compassione, verso le terre, inimmaginabili, dell’immaginazione dei cervelli affetti da demenza: è ricco di storie vivide, che assomigliano molto a quello che possiamo osservare se siamo a contatto con persone anziane con questo problema.

La Kiper sottolinea come i pazienti con demenza abbiano una risposta per tutto: questo mette i caregiver in una posizione singolare, perché diventa difficile astrarsi quando si viene ingaggiati in spiegazioni articolate; i parenti e i caregiver, infatti, anche conoscendo bene l’esistenza della patologia e anche quando le risposte dei pazienti sono prive di senso, tendono a pensare che il solo fatto che la persona con demenza sia in grado di dare una risposta suggerisca che ci si trova di fronte a una mente ancora funzionante.

In parte è davvero così, ci sono aspetti conservati: la mente continua infatti a cercare soluzioni e vie di interpretazione. Il neuroscienziato Michael Gazzaniga ha definito con la dicitura “l’interprete dell’emisfero sinistro” il processo inconscio responsabile di eliminare incoerenze e confusione interna.

In sintesi: quando le nostre aspettative vengono disattese o capovolte, quando i conti non tornano, quando il nostro ambiente cambia improvvisamente, l’interprete dell’emisfero sinistro fornisce rapidamente delle spiegazioni, per aiutarci a dare un senso alle cose. Ha una funzione, in qualche modo, di “rassicurazione”, ad evitare che ci blocchiamo nella totale incertezza. Un’altra delle funzioni dell’interprete dell’emisfero sinistro è la necessità di accertare cause ed effetti.

Facciamo un esempio: i pazienti che si sentono ansiosi o spaventati, a causa della perdita di memoria o della confusione, troveranno una spiegazione per il loro disorientamento e per le dimenticanze o inadempienze. Incolperanno il telefono di spegnersi e accendersi da solo misteriosamente, o di cancellare i messaggi, o insisteranno sul fatto che le persone cospirino contro di loro, che qualcuno abbia rubato quello che non trovano, e così via.

Questo avviene perché la nostra mente, quando avverte una sorta di discordia interna, cerca una fonte esterna che la giustifichi: un meccanismo che spesso causa anche ideazioni persecutorie: “non guido più perché mi hanno rubato la macchina”; “non esco di casa al pomeriggio perché i vicini mi spiano”.

La mente umana è predisposta a creare narrazioni credibili: molti pazienti sono in grado di creare risposte rapide (anche se sbagliate) per le loro opinioni distorte: perché un’interpretazione è sempre preferibile rispetto all’ incertezza e alla sensazione di perdita di controllo.

Data questa tendenza conservata nei pazienti, per i parenti e anche per gli operatori sanitari può essere difficile distinguere la patologia dalla normale tendenza della mente a resistere a ciò che non conosce.

Ho spesso ascoltato figlie e figli di genitori con demenza che raccontano di sentirsi in colpa perché “gli rispondo, cerco di ribattere alla sue tesi assurde, ci litigo, non riesco a trattenermi”.
Lo scritto della Kiper ci fa capire meglio che, come la mente dei pazienti con demenza cerca e produce spiegazioni, così la mente dei parenti caregiver e persino degli operatori sanitari si “illude”, vista la prolificità di risposte rapide costruite, che il vero sé dei pazienti sia in qualche maniera conservato e che ci si possa appellare ad esso.
La sofferenza di queste situazioni deve farci considerare un approccio di comprensione e compassione sia per i pazienti sia per i caregiver: si può anche sbagliare, ma esserci – ed essere di supporto anche in modo imperfetto – rende possibile modificare la relazione e mantenere degli spazi di condivisione e di conforto reciproco. Da persona a persona, da mente a mente. Anche se diversa.