Deindividuazione: perdere la propria individualità

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La deindividuazione è un concetto della psicologia sociale e si riferisce ad un “processo psicologico in cui alcuni fattori, riducendo l’identificabilità sociale e l’autoconsapevolezza dell’individuo all’interno di un gruppo, rende possibili comportamenti che normalmente sono inibiti” (Ravenna, 2004, p.97). È un concetto strettamente connesso al processo di deumanizzazione. La deindividuazione implica, quindi, una minore consapevolezza di sé e aumenta l’identificazione con gli scopi e le azioni del gruppo.

Alcune situazioni tendono a spogliare l’individuo della sua identità personale, di ciò che è, facendolo sentire anonimo. Trovarsi in una situazione di anonimato, accompagnata dalla diffusione della responsabilità, porta a fare cose che in contesti quotidiani non si farebbero. In condizioni di deindividuazione le persone possono intraprendere con più facilità comportamenti aggressivi e violenti.

Il processo di deindividuazione fu analizzato da Philip Zimbardo nel celebre esperimento carcerario di Stanford. Lo psicologo si propose di studiare tramite “simulazione funzionale”, ovvero tramite la riproduzione fedele dell’ambiente carcerario nel seminterrato dell’Università di Stanford, le dinamiche tra gruppi tipiche del carcere, tentando di eliminare per quanto possibile le differenze disposizionali fra il gruppo delle guardie e quello dei detenuti. I 24 studenti reclutati furono divisi in guardie e detenuti e avrebbero dovuto mantenere tale ruolo per due settimane. Tuttavia, l’esperimento fu interrotto prima del previsto in quanto si presentarono risultati drammatici. I partecipanti acquisirono a tutti gli effetti, dopo pochissimo tempo, i ruoli di carcerieri e detenuti. I primi misero in atto vessazioni continue e ripetute, oltre ad azioni intimidatorie e violente nei confronti dei detenuti; questi ultimi mostrarono dopo soli 5 giorni sintomi di disgregazione individuale e collettiva.

A Stanford le guardie indossavano uniformi e occhiali da sole a specchio che accentuavano il processo di deindividuazione. In quel contesto nessuno più possedeva un’identità personale, le individualità erano sparite. Una tale condizione non poteva che favorire tra le guardie la diffusione della responsabilità, infatti nessuna di loro si sentiva colpevole o perseguibile per aver intrapreso un’azione collettiva. Allo stesso modo i detenuti non avevano più una loro individualità, ma erano diventati i loro numeri, tanto da non presentarsi più con i loro veri nomi ma con i numeri assegnatigli casualmente.

L’esperimento creò “un’ecologia della deumanizzazione, proprio come nelle vere carceri […]. È cominciato con la perdita della libertà e si è esteso alla perdita della privacy e poi alla perdita dell’identità personale.” (Zimbardo, 2007, pp. 337-338).

Nel contesto di tale esperimento, la deindividuazione rappresenta la perdita di autocontrollo e autoconsapevolezza che si verifica nelle situazioni in cui l’individuo agisce all’interno di dinamiche sociali e di gruppo. Questa perdita di controllo porta alla messa in atto di azioni crudeli e aggressive che, in altri contesti e situazioni, sarebbero inibite e tenute a bada dalle norme sociali e morali.

In conclusione, chiunque può attuare condotte negative in condizioni e situazioni specifiche. Il comportamento umano è sempre soggetto a forze situazionali. È possibile però contrastare le forze situazionali negative che spesso agiscono sulle persone, così da prevenire quei processi di deumanizzazione e deindividuazione che rendono possibili condotte e azioni negative. Le persone, infatti, non sono schiave delle forze situazionali. È necessario riflettere continuamente sulla situazione, sulle azioni, sul coinvolgimento emotivo e sociale, affermare la nostra individualità e la nostra singolarità, così da non permettere agli altri di deindividuarci e deumanizzarci.

Bibliografia

Ravenna M. (2004). Carnefici e vittime. Le radici psicologiche della Shoah e delle atrocità sociali. Bologna: Il Mulino.

Zimbardo P. (2007). The Lucifer effect. How good people turn evil. Trad. it. L’effetto Lucifero. Cattivi si diventa? Milano: Cortina, 2008.