DELLA PAS (Parental Alienation Syndrome)

Di Cinzia Saponara

DELLA PAS (Parental Alienation Syndrome)

PREMESSA

Nel recente articolo: “Vittime silenziose”, mi sono occupata del fenomeno della violenza assistita fenomeno strettamente connesso a quello della violenza intrafamiliare. Nel presente lavoro mi occuperò della PAS o Sindrome da alienazione parentale, costrutto che troppo spesso emerge nei contesti giuridici che si occupano di tali gravi problematiche.

A proporla nel 1985 fu il medico statunitense Richard Gardner. Per Pas, o Sindrome da alienazione genitoriale, o Sindrome della madre malevola, o della madre ostativa (via via che la Cassazione la rigetta, i sostenitori variano le definizione sperando, così, di aggirare la giurisprudenza), si intende una dinamica psicologica “malata” per cui un genitore (di solito la madre) condizionerebbe negativamente i rapporti del figlio con l’altro genitore ( di solito il padre) attraverso una serie di comportamenti volti a denigrare, emarginare e neutralizzare l’altra figura genitoriale e la sua famiglia d’origine. Secondo Gardner, in sostanza, si parla di PAS quando, in particolare nei casi di separazione, il genitore alienante indottrina il bambino contro il genitore alienato attraverso una sorta di lavaggio del cervello ed una campagna di denigrazione mirata a distruggere progressivamente la relazione genitore alienato-figlio.

Intorno alla PAS si è sollevato negli anni un vivace dibattito. Da un lato i suoi sostenitori affermano il diritto del bambino alla bi-genitorialità e ritengono tali situazioni esempi di importanti violazioni di tale diritto. In Italia, oltre a numerosi professionisti, la Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA), afferma la scientificità della PAS, riconducendola, però, non a un disturbo piscologico a carico del minore, bensì a un problema relazionale che comporta un rischio evolutivo per lo sviluppo psico-fisico del minore stesso. La SINPIA fa chiaro riferimento alla PAS, a Gardner ed al problema dei falsi positivi nei casi di denuncia di abuso sessuale.

Dall’altro lato, sono numerose le voci e le posizioni critiche, per un approfondimento delle quali si rinvia a importanti lavori in lingua italiana (Crisma, Romito, 2007; Coffari, 2018; Pignotti, 2018) che fondamentalmente si concentrano sui seguenti punti:

  1. La figura stessa di Richard Gardner e le sue posizioni ambigue rispetto alla pedofilia;
  2. I limiti scientifici della PAS;
  3. Il rischio che attraverso il suo utilizzo si neghino e mistifichino situazioni in cui il bambino esprime paura e rifiuto verso il genitore per fondati motivi (quali il maltrattamento, l’abuso sessuale, la violenza assistita), esponendolo così a gravi rischi e privandolo di tutela e di diritti.

Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5) non riconosce la PAS come sindrome o malattia: le numerose richieste per l’ammissione della PAS nel repertorio delle patologie psichiatriche sono state respinte, in quanto “non vi sono sufficienti prove scientifiche che ne giustifichino l’ammissione” (motivazione del responsabile del gruppo di lavoro). Oggi il DSM inserisce la voce “problemi relazionali genitore-bambino”. Coerentemente con il DSM, anche l’ICD11 (International Classification of Diseases) non include la PAS, facendo invece riferimento a problemi relazionali (QE52.0).

In sostanza il DSM-5 riconosce l’esistenza di un possibile condizionamento di un bambino, di denigrazione di un genitore verso l’altro, situazioni sicuramente possibili, ma ben lontane dalla diagnosi di Alienazione Parentale e che soprattutto vanno ben distinte e attentamente differenziate da tutte quelle situazioni in cui un bambino rifiuta un genitore perché realmente maltrattante, abusante o trascurante e non perché plagiato dall’altro genitore.

Sulla PAS è molto interessante il recente intervento del Ministero della Salute che con la nota del 29.5.2020 ha precisato che la Sindrome da Alienazione Genitoriale o da Anaffettività Genitoriale «non risulta inserita in alcuna delle classificazioni in uso come la International classification of disease (ICD 10) o il Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM 5), in ragione della sua evidente “ascientificità” dovuta alla mancanza di dati a sostegno».

Lavori sistematici e critici nei confronti della PAS sono stati pubblicati da Sonia Vaccaro e Consuelo Barea, psicoterapeute specializzate nella violenza di genere; da Jennifer Hoult; da Carol Bruch, da Rotger e Barrett. Anche in Italia ci sono diverse voci critiche nei confronti della PAS, della sua scientificità e dell’etica della sua applicazione, tra di esse ricordiamo Luigi Cancrini, Paolo Crepet, Antonio Marziale, Luisa Betti, Elvira Reale, Claudio Mencacci, Claudio Foti.

La critica che più interessa, a mio avviso, è relativa all’utilizzo della PAS nei procedimenti giudiziari in cui ci sia un sospetto abuso sessuale o un sospetto maltrattamento o nei casi di violenza domestica. In questi casi la PAS viene frequentemente utilizzata in ambito forense, soprattutto da coloro che vogliono difendersi da tali accuse, tale costrutto sostituisce la dinamica della violenza con la dinamica conflittuale, sostituzione che cancella la differenza tra presunto autore della violenza e presunta vittima e che attribuisce alla madre la responsabilità dei comportamenti di rifiuto del minore verso il padre. Il riferimento alla “PAS” in questi conflitti giudiziari riduce tutto all’alienazione paterna e trasforma automaticamente le vittime in carnefici. Ma non si può automaticamente utilizzare la “Sindrome di alienazione parentale” ogni qual volta i figli rifiutano la figura paterna, molteplici e molto complesse potrebbero essere le cause, non ultima quella di essere stati spettatori di molteplici episodi di violenza paterna a carico della madre, e/o essere stati oggetto di maltrattamenti o abusi.

Il rapporto GREVIO per l’Italia (GREVIO’s -Baseline Evaluation Report, Italy, tradotto in italiano dal Dipartimento per le Pari Opportunità), del 2019 all’esito della attività di Organo di Monitoraggio chiamato a verificare l’applicazione della Convenzione di Istanbul (2011)1, sottolinea peraltro l’elevato rischio relativo all’utilizzo della nozione di alienazione parentale o di nozioni analoghe. L’evocazione di queste “sindromi”, scientificamente inesistenti, e non riconosciute dalla comunità internazionale, impedirebbe di approfondire la reale origine del rifiuto del minore a incontrare uno dei genitori, rifiuto che potrebbe avere radici specifiche.

  1. La Convenzione di Istanbulè il trattato internazionale di più vasta portata creato per affrontare la violenza contro le donne e la violenza domestica. Stabilisce gli standard minimi per i governi in Europa nella prevenzione, protezione e condanna della violenza contro le donne e della violenza domestica.

Fondamentale l’articolo 31 della Convenzione di Istanbul, nel quale si prevede che «al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, devono essere presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione». Il mancato accertamento delle condotte violente e la conseguente mancata valutazione di tali comportamenti nella adozione di provvedimenti di affidamento dei figli, ha come conseguenza l’emanazione di provvedimenti stereotipati che dispongono l’affidamento condiviso del minore ad entrambi i genitori, senza distinguere tra il genitore violento e genitore vittima di violenza. il mancato riconoscimento della violenza, o la sottovalutazione del fenomeno hanno come conseguenze l’omessa adozione di tutele per i figli e per le madri vittime di violenza, con il rischio che comportamenti violenti si realizzino di nuovo o in danno dei minori, nei periodi di frequentazione, o in danno della madre, nel momento in cui il padre prelevi o riceva i minori per l’esercizio del diritto di visita.

CONCLUSIONI

Dopo molteplici pronunce di allontanamento, la Cassazione anche recentemente 17/05/2021 ha ribadito che la teoria dell’alienazione parentale è priva di base scientifica e ha richiamato i consulenti tecnici incaricati dai giudici ad attenersi ai protocolli riconosciuti dalla scienza ed evitare di uscire dalle linee guida. Ancora più recentemente la Suprema Corte di Cassazione con ordinanza 24/03/2022 n. 9691, ha stabilito che il richiamo alla sindrome da alienazione genitoriale “e ad ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo”.

Questo richiamo è talmente essenziale che anche il disegno di legge per la riforma del processo civile prevede che il Giudice debba tenere conto di eventuali episodi di violenza e deve garantire che gli eventuali incontri tra i genitori e i figli siano, se necessario, accompagnati dai Servizi Sociali ed il Consulente Tecnico incaricato di valutare le competenze genitoriali, debba attenersi a protocolli e metodologia riconosciuti dalla comunità scientifica.

Si tratta quindi di distinguere tra due – almeno apparentemente – opposti interessi: quello di assicurare una relazione affettiva stabile e priva di conflittualità tra il minore ed entrambi i genitori, in applicazione della legge sull’affidamento condiviso e quello di riconoscere i diritti dei minori e di proteggerli da qualsiasi forma di pericolo o violenza di carattere familiare e domestico in applicazione dell’articolo 31 della Convenzione di Istanbul. I due interessi sono conciliabili – come prescritto peraltro da tutte le normative sovranazionali ed interne in materia – soltanto qualora non vi sia violenza domestica, altrimenti esigenza primaria diviene quella di protezione del minore attraverso scelte adottate nel suo “miglior interesse”.

In sostanza, deve esserci bigenitorialità (con la legge n. 54/2006 è stato introdotto tale principio) solo in presenza di genitori adeguati e assolutamente no, in presenza di genitori violenti.

BIBLIOGRAFIA

  • Associazione Spagnola di Neuropsichiatria (2010), “Dichiarazione contro l’uso clinico e legale della cosiddetta Sindrome di Alienazione Parentale” pubblicata da Andrea Mazzeo;
  • Coffari G.A. (2018) “Rompere il silenzio. Le bugie sui bambini che gli adulti si raccontano”. Laurana editore;
  • Gardner R.A. (1985) “Recent trends in divorce and custody litigation”, Academy Forum; Gardner R.A. (1998) “The Parental Alienation Syndrome” (2nd. ed.);
  • Pignotti MS (2018) “I nostri bambini meritano di più. La sindrome di alienazione parentale e il furto della madre”, Libellula editore;
  • Elvira Reale et al. “Protocollo Napoli” https:// www.oralegalenews.it/wp-content/ uploads/2020/10/ lettera-aperta-agli-ordini-professionali. pdf;
  • Romito (2007), “L’occultamento delle violenze sui minori: il caso della Sindrome da Alienazione Parentale”. Rivista di Sessuologia, 31(4); SINPIA, “Linee guida in tema di abuso sui minori” ed. Erickson, 2007 www.sinpia.eu/ atom/allegato/1063.pdf 10 Crisma;
  • S. Vaccaro, C. Barea (2011) “PAS Presunta Sindrome di Alienazione Parentale. Uno strumento che perpetua il maltrattamento e la violenza”. Ed. it. Editpress, Firenze.