Disturbi specifici dell’apprendimento: una panoramica sull’evoluzione e il mondo dell’università alla luce della nuova Linea Guida

di Roberto Ghiaccio

Disturbi specifici dell’apprendimento: una panoramica sull’evoluzione e il mondo dell’università alla luce della nuova Linea Guida

Quando si parla di DSA il confronto tra scuole di pensiero è più acceso che mai, trattandosi di un disturbo estremamente complesso per quanto “specifico” e “specificato” nelle definizioni nosografiche. Affacciandosi “nell’universo dell’apprendimento” si deve esser pronti ad affrontare argomentazioni complesse e ricche di controversie, dilemmi tali da mettere in crisi le più consolidate certezze scientifiche, antropologiche e didattiche. Lo scopo di questo lavoro è comprendere le possibili evoluzioni del disturbo di lettura nel corso della scolarità, capire come il disturbo cambia e si trasforma, osservando la sua modalità espressiva ed evolutiva, con la consapevolezza che il disturbo cambia, si compensa, si trasforma, fino all’istruzione universitaria e al mondo del lavoro. Nel gennaio 2022 l’Istituto Superiore di Sanità pubblica la nuova Linea Guida sulla gestione dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento, questa contiene tra le tante novità, una particolarmente importante per il nostro contributo: al quesito n. 8 (pag 268- 284) si parla di DSA nell’adulto! Anche la precedente Consensus Conference del 2011 trattava dei DSA negli adulti ai quesiti:

  • “B4 “Qual è l’evoluzione in età adolescenziale e adulta dei DSA (cambiamenti dei processi di lettura, ortografia/compitazione, calcolo; associazione con disturbi mentali; ? (Allegato al documento Consensus Conference “disturbo specifici dell’apprendimento p.22)2
  • “B5 “Esistono evidenze che la presenza di altri disturbi specifici dell’apprendimento o altri disturbi evolutivi in comorbidità con i DSA modifichi la storia naturale della malattia, rispetto ai DSA isolati? con attenzione al quesitoB5.2 Dislessia e disturbo specifico del linguaggio sono disturbi distinti e possono essere co-occorrenti (Allegato al documento Consensus Conference “disturbo specifici dell’apprendimento p.26)”

Tuttavia, non ne affrontava le complessità del l ’ indagine diagnostica non fornendo raccomandazioni cliniche per la diagnosi in età adulta.

È ormai noto che i disturbi specifici di apprendimento hanno un carattere di persistenza dovuto anche alle basi neurobiologiche, oggi sempre meglio note, pertanto è lecito attendersi che, anche in età adulta, vi sia una vasta popolazione di soggetti con difficoltà di funzionamento in alcuni compiti e attività della vita quotidiana, in ambito scolastico/universitario, o professionale, in parte anche, purtroppo, non diagnosticati in età evolutiva. Gli studi inclusi evidence based sui quali gli esperti della LG si sono usati per la stesura delle raccomandazioni hanno arruolato prevalentemente studenti che frequentano l’università o l’ultimo biennio della scuola secondaria di secondo grado (N = 5725, range di età 16-55 anni). Gli studi sono stati condotti principalmente in lingua inglese (N = 15: Stati Uniti 4, Regno Unito 9, Canada 1, Nuova Zelanda 1), Italia (N = 7), Olanda (N = 7), Francia (N = 4), Finlandia (N = 2), Israele (N = 2), Polonia, Brasile, Norvegia, Svezia, Danimarca (un solo studio per ciascuna area). La maggiore parte degli s t u d i prende i n esame esclusivamente il disturbo specifico di lettura. Infatti, solo due studi analizzano il disturbo specifico del calcolo e tre studi esaminano le prestazioni di soggetti con disturbo specifico dell’apprendimento in comorbidità. Solo due studi hanno esaminato la sfera emotivo-comportamentale, con particolare attenzione alla sintomatologia ansioso-depressiva. Infine, 7 studi hanno utilizzato anche questionari per il self report di sintomi di DSA o ADHD. La pratica clinica prevede che un’adeguata valutazione diagnostica dei disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) nell’adulto debba comprendere un’accurata raccolta di informazioni anamnestiche, quali storia scolastica, familiarità del disturbo specifico, pregresse valutazioni neuropsicologiche o eventuali accessi a servizi specialistici, eventuali trattamenti, funzionamento adattivo e difficoltà percepite nella vita quotidiana. Tali dati clinici possono assumere un valore rilevante nel caso di prestazioni con punteggi nell’area di norma ma ai limiti inferiori alla valutazione neuropsicologica (per es. tra -1.5 e -2 deviazioni standard rispetto alla media, oppure tra il 5° e il 15° centile), come riportato anche nel DSM5. Le seguenti raccomandazioni si riferiscono a percorsi diagnostici di soggetti adulti sia con sospetto DSA sia con disturbi specifico già diagnosticato, ossia sia per prime diagnosi sia per valutazioni di aggiornamento del profilo funzionale in presenza di diagnosi di DSA preesistenti. In generale, la formulazione di diagnosi prevede la valutazione delle abilità strumentali di lettura, scrittura e calcolo, eventualmente qualificate da altri strumenti neuropsicologici per l’esame delle funzioni cognitive correlate.

  1. Prove e indici psicometrici da utilizzare per la valutazione dell’abilità di lettura

Raccomandazione 8.1 Si raccomanda la somministrazione di prove standardizzate per l’età adulta di lettura ad alta voce di brano, parole e non-parole. Sono da misurare sia la rapidità sia l’accuratezza.

Raccomandazione 8.2 Si raccomanda la valutazione della capacità di comprensione del testo scritto considerando l’accuratezza, con prove adeguate all’età ed alla scolarità e di dimostrata validità clinica.

Raccomandazione 8.3 Per qualificare la diagnosi ed il profilo, si raccomanda di somministrare prove che valutino le abilità di denominazione rapida automatizzata, memoria fonologica e di lavoro verbale, e velocità di elaborazione delle informazioni.

  • Prove e indici psicometrici da utilizzare per la valutazione dell’abilità di scrittura

Raccomandazione 8.4 Per la valutazione dell’ortografia, si raccomanda di misurare l’accuratezza in prove di dettato di parole e di brani, con adeguata standardizzazione e validazione clinica. Nei casi in cui la compromissione della abilità ortografica è meno chiara, può risultare utile somministrare il dettato di parole sia in condizioni normali che di doppio compito (ad esempio la soppressione articolatoria).

Raccomandazione 8.5 Per la valutazione della fluenza grafemica, si raccomanda l’uso di prove di produzione di grafemi (ad esempio, scrittura di numeri in parola) sia in condizioni normali che di doppio compito (ad esempio, la soppressione articolatoria), misurando il numero di grafemi prodotti in un intervallo di tempo definito.

  • Prove e indici psicometrici da utilizzare per la valutazione dell’abilità di calcolo

Raccomandazione 8.6 Si raccomanda l’uso di strumenti psicometrici la cui standardizzazione sia quanto più possibile adeguata alla scolarità e all’età del soggetto esaminato, che valutino accuratezza e rapidità mediante prove di calcolo a mente, calcolo scritto, recupero dei fatti aritmetici e transcodifica (lettura e scrittura di numeri). È, inoltre, opportuna una valutazione qualitativa degli errori procedurali.

Acquisire una lingua, parlata o scritta è un fenomeno complesso, che coinvolge gran parte della vita di un bambino. Seppure con difficoltà e grande variabilità interindividuale i bambini padroneggiano la lingua madre e le sue regole già a cinque anni. In alcuni di essi imparare a parlare prima e a leggere e scrivere poi può essere una scalata ripida ed insidiosa. Molti di questi bambini in difficoltà potrebbero avere un disturbo “specifico”, specifico rispetto le abilità cognitive generali (non rispetto la reale settorialità del processo neuropsicologico deficitario). La separazione arbitraria tra linguaggio ed altre funzioni cognitive ha posto un determinismo-scissionistico tra genetica e specifiche conoscenze, in psicopatologia il dualismo innato vs danneggiato è un modello poco adatto alle aree evolutive. La visione deterministica e lineare non coglie i processi di modularizzazione tipici dello sviluppo. Trasportare modelli adulti sui bambini equivale a non cogliere il divenire di conoscenze non ancora incapsulate in specifici domini indipendenti (almeno apparentemente). Nel bambino ancora non abbiamo lo sviluppo sedimentato di quegli apprendimenti verticali, ma informazioni ed apprendimenti si poggiano su un comune funzionamento cognitivo. Il fenotipo è la manifestazione del deficit, le cause risiedono nell’endofenotipo, ossia nelle funzioni cognitive associate ad uno specifico tratto comportamentale (Lewin 2011). Le mutazioni possibili in fase embriogenetica danno luogo a conseguenze fenotipiche cognitive – comportamentali che difficilmente possano riguardare singole abilità formando così un endofenotipo esteso. Di conseguenza definire i l funzionamento di un bambino solo dal fenotipo compromesso in relazione ad un dato dominio di conoscenza, ignorando quello che sembra non essere pertinente all’area indagata vuol dire eliminare la possibilità di conoscere le cause che contribuiscono al deficit. “La questione della comorbidità nei e tra i Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) solleva importanti interrogativi sia a livello clinico, (l’inquadramento diagnostico, le stime epidemiologiche, la progettazione dell’intervento riabilitativo) che a livello teorico (in relazione allo statuto epistemologico del termine «specifico» e al modello di architettura cognitiva «modulare» che esso sottende) (Rice e Brooks, 2004; Rispens e Van Yperen,1997). In particolare, la tipica eterogeneità che caratterizza i DSA e il fatto che l’associazione tra loro e con altri disturbi è la regola più che l’eccezione ha indotto alcuni autori a mettere seriamente in discussione la nozione dell’esistenza di un nucleo patogenetico specifico della dislessia, il cosiddetto «core» fonologico (Snowling, 2000; Stanovich, 1988), e a ipotizzare un substrato anatomo-funzionale più distribuito, non-specifico e più sensibile agli effetti dell’interazione ambientale (Karmiloff-Smith, 1998; Spear Swerling e Sternberg, 1994; Zera, 2001)”.

Per molti anni il mondo della clinica, il mondo della ricerca ed il mondo della pedagogia hanno viaggiato in modo indipendente nonostante la forte ed imprescindibile interdipendenza del loro (s)oggetto di studio: la ricerca tesa a definire modelli teorici attendibili e dai confini definiti ed il mondo della clinica a spiegare e “contenere” la complessità. Tale artificiosa separazione ha comportato conseguenze in tutti gli ambiti con cui i bambini vengono in contatto. Negli ultimi anni si è andata diffondendo ed affermando l’ipotesi che “la comorbidità non sia l’eccezione ma regola” ( Hulme & Snowling, 2009; Williams & L i n d , 2 0 1 3 ) ponendo attenzione alla complessità patogenetica, sintomatologica e nosodromica delle varie “caratteristiche” individuali. I disturbi dello sviluppo sono definiti dalle limitazioni funzionali (Reiss2009) dominio specifici derivanti da uno sviluppo anomalo. Le limitazioni possono manifestarsi nella prima o nella seconda infanzia come ritardi, atipe o anomalie qualitative nell’acquisizione di pietre miliari dello sviluppo. Resta il dubbio se i disturbi dello sviluppo rappresentino l’estremità della coda della distribuzione normale della funzione implicita o costituiscano entità categoriali separate. I disturbi del linguaggio ed i disturbi specifici dell’apprendimento sono un esempio di disturbo neuroevolutivo da pensare in ottica multipatogenetica e da interpretare a più l i v e l l i processuali. Nonostante nella loro definizione è insito il concetto di specificità e di settorialità, i disturbi specifici del linguaggio ed i disturbi specifici dell’apprendimento non si mostrano come disturbi esclusivamente settoriali. Tale settorialità/specificità ne definisce una illusoria attribuzione di minore gravità e minore pervasività rispetto ai disturbi globali dello sviluppo. Già la legge 170/2010 all’articolo 5 recita così “Gli studenti con diagnosi di DSA hanno diritto a fruire di appositi provvedimenti dispensativi e compensativi di flessibilità didattica nel corso dei cicli di istruzione e formazione e negli studi universitari”. A tele complessità, solo in parte accennata, corrisponde un vuoto legislativo, i DSA tutelati dalla storica legge 170/2010, vede la sua estensione in campo universitario con la Linea Guida del CNUd 5669 la quale all’articolo 6 recita “In ambito universitario, gli Atenei assicurano agli studenti con DSA l’accoglienza, il tutorato, la mediazione con l’organizzazione didattica e il monitoraggio dell’efficacia delle prassi adottate”. La presentazione della certificazione diagnostica, al momento dell’iscrizione, permette di accedere anche ai test di ammissione con le seguenti modalità: la concessione di tempi aggiuntivi, rispetto a quelli stabiliti per la generalità degli studenti, ritenuti congrui dall’Ateneo in relazione alla tipologia di prova e comunque non superiori al 30% in più; la concessione di un tempo aggiuntivo fino a un massimo del 30% in più rispetto a quello definito per le prove di ammissione ai corsi di laurea e di laurea magistrale programmati a livello nazionale o dalle università ai sensi dell’art. 4 della legge 2 agosto 1999 n. 264; in caso di particolare gravità certificata del DSA, gli Atenei – nella loro autonomia – possono valutare ulteriori misure atte a garantire pari opportunità nell’espletamento delle prove stesse. Le diagnosi presentate successivamente all’iscrizione permettono di poter fruire degli appositi provvedimenti dispensativi e compensativi di flessibilità didattica, secondo quanto stabilito dall’art. 5, comma 1.

In particolare, per quanto attiene alle misure dispensative, ci si riferisce a: privilegiare verifiche orali piuttosto che scritte, tenendo conto anche del profilo individua le disabilità; prevedere nelle prove scritte l’eventuale riduzione quantitativa, ma non qualitativa, nel caso non si riesca a concedere tempo supplementare; considerare nella valutazione i contenuti piuttosto che la forma e l’ortografia.

Per quanto attiene agli strumenti compensativi, si ritiene altresì che gli Atenei debbano consentire agli studenti con diagnosi di DSA di poter utilizzare le facilitazioni e gli strumenti eventualmente già in uso durante il percorso scolastico, quali, per esempio: registrazione delle lezioni; utilizzo di testi in formato digitale; programmi di sintesi vocale; altri strumenti tecnologici di facilitazione nella fase di studio e di esame.

Per quanto attiene alle forme di verifica e di valutazione, con riferimento agli esami universitari, si applicano le misure dispensative e gli strumenti compensativi già sopra descritti (prove orali invece che scritte; uso di personal computer con correttore ortografico e sintesi vocale; tempo supplementare fino a un massimo del 30% in più oppure riduzione quantitativa; valutazione dei contenuti più che della forma). Peraltro, gli Atenei debbono prevedere servizi specifici per i DSA, di nuova attivazione o nell’ambito di quelli già preesistenti di tutorato e/o disabilità, che pongano in essere tutte le azioni necessarie a garantire l’accoglienza, il tutorato, la mediazione con l’organizzazione didattica e il monitoraggio dell’efficacia delle prassi adottate.

Circa le prove d’accesso ai corsi di laurea a numero chiuso la Direttiva MIUR 06/08/2015 – recita … i candidati affetti da disturbi specifici dell’apprendimento hanno diritto …al 30% di tempo aggiuntivo a prescindere da specifica richiesta strumenti compensativi ulteriori necessari in ragione della specifica patologia… sono ammessi: calcolatrice non scientifica, video ingranditore, affiancamento di un tutor. Non ammessi: dizionario e/o vocabolario, formulario, tavola periodica degli elementi, mappa concettuale, personal computer/tablet/smartphone.

Le criticità sono tuttavia ancora tante, dal monitoraggio all’inserimento lavorativo ancora aperta la questione posta dall’art. 3.3. della liana guida MIUR 2011nell’ambito universitario, la necessità di interventi idonei ad individuare i casi sospetti di DSA negli studenti, ma tale questione sin via di risoluzione grazie alle pubblicande Buone pratiche clinico-assistenziali nella gestione dei DSA, ma faremo bene a ricordarci che l’inclusione non è un dato del diritto civile ma una dinamica di civiltà.

Per quanto riguarda la patente guida i candidati con DSA che vogliono conseguire la patente di guida (patente B) avranno a disposizione dieci minuti in più per svolgere la prova di teoria: quaranta minuti invece di trenta, quindi una maggiorazione del 30% del tempo per completare il test. con la circolare 3129, il ministero dei trasporti ha infatti stabilito la validità, per il conseguimento della patente di guida, di tutte le certificazioni diagnostiche rilasciate ai soggetti con DSA ai sensi della legge 170/2010 e dell’accordo Stato-Regioni del 2012. A seguito di questa circolare non è più richiesto che il certificato sia rilasciato da un neuropsichiatra.

Decisamente più complessa la situazione per il mondo del lavoro, dove si sta timidamente affacciando l’Applicazione DL 9 giugno 2021, n. 80, legge 6 agosto 2021, n. 113, i l decreto individua le modalità attuative per assicurare nelle prove scritte dei concorsi pubblici indetti da Stato, Regioni, Province, Città Metropolitane, Comuni e dai loro enti strumentali, a tutti i soggetti con disturbi specifici di apprendimento (DSA) la possibilità di sostituire tali prove con un colloquio orale o di utilizzare strumenti compensativi per le difficoltà di lettura, di scrittura e di calcolo, nonché di usufruire di un prolungamento dei tempi stabiliti per lo svolgimento delle medesime prove. Mancano ancora tuttavia indicazione da parte del ministero della difesa.

Faremo bene a ricordarci che l’inclusione non è un dato del diritto civile ma una dinamica di civiltà ed ognuno di noi è responsabile della costruzione senza barriere di alcun tipo.

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-Linea Guida DSA 2018, ISS Roma gennaio 2022