Eco-ansia: cos’è e come intervenire

Eco-ansia: che cos’è e come intervenire

Il cambiamento climatico sta avendo forti ripercussioni in numerosi ambiti, tra cui quello della salute mentale (come abbiamo analizzato in questo precedente articolo). Gli eventi meteorologici e i disastri naturali indotti dal cambiamento climatico hanno un forte impatto sulla nostra salute mentale, in quanto possono causare disturbi del sonno, stress, depressione, disturbi da stress post-traumatico e ideazione suicidaria. Si è osservato come tra i principali effetti psicologici del cambiamento climatico vi sia una nuova patologia, denominata eco-ansia.

Che cos’è l’eco-ansia?

L’American Psychological Association[1] si riferisce all’eco-ansia, o climate anxiety, come a “una paura cronica del dominio dell’ambiente”, che va da uno stress lieve a disturbi clinici come depressione, ansia, disturbo da stress post-traumatico e suicidio, a strategie di coping disadattive come la violenza fisica e l’abuso di sostanze[2]. Più semplicemente, l’eco-ansia è una forma specifica di ansia relativa allo stress o al disagio causato dai cambiamenti ambientali e dalla nostra conoscenza di essi. Non esiste una diagnosi specifica di “Eco-ansia”. La sintomatologia auto-segnalata può includere attacchi di panico, insonnia, pensiero ossessivo e/o cambiamenti dell’appetito causati da preoccupazioni ambientali[3]. L’eco-ansia si presenta non solo a causa della paura di un pericolo percepito ma anche nel momento in cui entra in gioco il senso di colpa o la sensazione di impotenza per il mancato controllo sulla natura.

Chi sono i gruppi maggiormente colpiti dall’eco-ansia?

La climate anxiety viene avvertita in modo molto più forte tra i giovani, in particolare da coloro tra i 15 e i 30 anni. Questo dato può riferirsi al fatto che i giovani, a differenza degli adulti, avranno maggiori probabilità di sopravvivere alle avversità climatiche nei prossimi decenni e a dovervi fare fronte. L’eco-ansia tende anche ad essere maggiore nelle persone che si preoccupano profondamente dell’ambiente[2, 4].

Un’indagine italiana condotta nel 2019 su un campione nazionale di 800 giovani adulti ha indicato che, per il 51% di loro, il cambiamento climatico rappresenta la fonte primaria del loro disagio[5].

È probabile che i livelli di ansia climatica aumentino nel tempo poiché sempre più persone ne saranno direttamente colpite. Le persone in condizioni di povertà, le popolazioni indigene, i bambini e le persone che vivono in circostanze precarie (ad esempio, in aree soggette a siccità o incendi, o regioni vulnerabili all’innalzamento del livello del mare) sono tra i gruppi maggiormente a rischio di subire i gravi effetti del cambiamento climatico[4].

Eco-ansia: adattiva o disadattiva?

L’ansia evocata dalla minaccia del cambiamento climatico può essere adattativa o disadattiva[4].

Quella adattiva può motivare l’attivismo climatico, fornendo un impulso ad agire per affrontare le minacce climatiche, ad esempio trovando modi per ridurre la propria impronta di carbonio.

L’ansia disadattiva può assumere la forma di passività ansiosa, nella quale la persona si sente ansiosa ma incapace di affrontare il problema del cambiamento climatico, e può assumere la forma di un disturbo d’ansia innescato o esacerbato da fattori di stress climatici. Un’ansia eccessiva può essere grave e debilitante, e merita attenzione clinica.

Come risultato di una maggiore consapevolezza dell’impatto del cambiamento climatico sull’ambiente, quindi, alcune persone sono spinte ad agire mentre altre sono sopraffatte. Per altre ancora, l’ansia è così intensa da diventare paralizzate, impedendo loro di agire. È ciò che viene chiamata eco-paralisi, in cui le persone diventano così angosciate dal problema da non essere in grado di agire e, di conseguenza, a volte sono giudicate erroneamente come disinteressate e apatiche[3].

Come intervenire?

È necessario comprendere che l’ansia non è necessariamente un “problema” di cui liberarsi ma, nelle giuste dosi, può creare consapevolezza e spingerci ad agire in maniera congrua.

Il cambiamento climatico è anche un problema psicologico, ma ciò non significa che debba essere individualizzato o medicalizzato. L’ansia climatica non dovrebbe essere vista come un problema da risolvere o una condizione da curare ma, piuttosto, come un aumento di consapevolezza del nostro impatto sul mondo.

Invece di patologizzare l’ansia climatica, è necessario chiedersi come è possibile creare maggiore consapevolezza del problema e individuare azioni concrete. Oltre, quindi, ad un lavoro di supporto psicologico individuale, per imparare a riconoscere e gestire l’ansia sarà necessario sviluppare forti reti sociali fondate su relazioni supportive e una solida relazione con la natura che ci circonda.

Per concludere, i sintomi dell’ansia climatica non sono necessariamente sentimenti di cui liberarsi ma da cui imparare, solo però se possono essere percepiti in modo sicuro, attraverso lo sviluppo di azione pro-ambiente e cambiamento sociale e psicologico.

Bibliografia

[1] American Psychological Association (2017). Mental Health and our Changing Climate: Impacts, Implications and Guidance. (https://www.apa.org/news/press/releases/2017/03/mental-healthclimate.pdf).

[2] Dodds J. (2021). The psychology of climate anxiety. BJPsych Bulletin, 45, 222–226. doi:10.1192/bjb.2021.18

[3] Usher K., Durkin J. e Bhullar N. (2019). Eco-anxiety: How thinking about climate change-related environmental decline is affecting our mental health. International Journal of Mental Health Nursing, 28, 1233–1234. doi: 10.1111/inm.12673

[4] Taylor S. (2020). Anxiety disorders, climate change, and the challenges ahead: Introduction to the special issue. Journal of Anxiety Disorders, 76, 102313.

[5] SWG. Lotta Contro i Cambiamenti Climatici. 2019. Available online: https://www.swg.it/politicapp?id=yedv