EPOCA DELL’INFORMAZIONE E ALIENAZIONE

di Ioannoni Raffaele

“Sono triste, sono annoiato

Sono sdraiato sul divano…

Potrei uscire di casa ed incontrare qualcuno! 

Potrei uscire di casa ed iniziare uno sport!

Si ma… non ho voglia… meglio vedere un’altra serie su Netflix o giocare ai videogiochi.

E poi Chiara Ferragni ha postato una nuova storia su Instagram!

Anche oggi starò a casa sul divano,

il mondo può aspettare ancora un altro po’…”

I sociologi hanno chiamato il periodo storico in cui viviamo, “l’epoca dell’informazione”.

 La nascita e lo sviluppo di internet, l’invenzione degli smartphone e dei social network hanno dato a noi, cittadini del XXI secolo, la possibilità di accedere ad un numero potenzialmente infinito di informazioni sia in forma scritta che video. 

Con un solo click possiamo vedere un filmato o inviare un messaggio ad una persona che vive letteralmente dall’altra parte del mondo e la solitudine sembra ormai solo un miraggio. Tutti siamo connessi e raggiungibili ovunque e da chiunque: basta avviare una chiamata su Whatsapp per sentirsi nella stessa stanza anche se si è separati da centinaia o addirittura migliaia di chilometri. 

E la solitudine sembra ormai solo un lontano miraggio.

TECNOLOGIA: GIOVANI, DIPENDENZE E DEPRESSIONE; ALCUNI DATI.

La tecnologia sembra andare in questa direzione: basti pensare che Meta, la famosa azienda di Zuckerberg, sta investendo miliardi di dollari in un progetto chiamato Metaverso, uno spazio virtuale in cui ogni cosa sarà alla portata di tutti. Oggetti, luoghi e persone saranno solo ad un click di distanza, e tutti saranno presenti in un unico ed infinito spazio virtuale.

L’unico bisogno? Avere una connessione internet ed un dispositivo informatico abbastanza potente. 

Eppure, la situazione sociale attuale non appare così rosea…E la pandemia che tutti noi abbiamo vissuto, ha lasciato una profonda cicatrice nelle nostre vite. 

La società italiana di psichiatria ha affermato che:

“Dopo la pandemia i sintomi depressivi nella popolazione generale sono quintuplicati e oggi si stima che li manifesti circa una persona su tre, tanto che si ipotizzano fino a 150 mila casi di depressione maggiore in più rispetto all’atteso […]

Depressione e ansia sono cresciute rispettivamente del 28 e 26% rispetto al periodo pre-Covid a dimostrazione di come la pandemia sia stata sicuramente un acceleratore per lo sviluppo di queste problematiche.” 

E sono le nuove generazioni che stanno pagando il prezzo più alto: il ritiro sociale, la solitudine, l’ansia e la malinconia avanzano sempre di più. Pensiamo alle nuove formazioni sintomatiche, come la sindrome hikikomori o la dipendenza da internet; pensiamo alla continua esposizione e comparazione a modelli ideali irraggiungibili e fittizi che portano ad un continuo svilimento di sé e della propria immagine allo specchio:


“L’isolamento e la rottura con il mondo reale e la società nelle sue più diverse componenti hanno contribuito all’aumento delle dipendenze da sostanze ma, soprattutto, da tecnologia: oggi si stimano almeno 700 mila adolescenti dipendenti da web, social e videogiochi. Altri ancora sono vittime di ansia e depressione, anche queste in costante aumento”.

Questi dati sono paradossali: il mondo è più connesso eppure le persone più isolate; si può parlare con chiunque ma non si esce di casa; potenzialmente si può essere ovunque eppure non si è da nessuna parte.

CONLCUSIONE

La rivoluzione tecnologica ha indubbiamente portato moltissimi benefici e facilitazioni apportando innumerevoli cambiamenti al nostro tessuto sociale.

Forse, però, ci sta investendo in un modo che difficilmente si sarebbe potuto immaginare: l’impennata di sintomatologie legate all’ansia, al ritiro sociale e alla depressione potrebbero essere un effetto di questa rivoluzione.

Inoltre, la continua esposizione a modelli estetici ed etico-normativi irraggiungibili può portare noi tutti, giovani compresi, a sviluppare quello che Donald Winnicott, famoso psicoanalista inglese del XX secolo, ha chiamato falso sé, ovvero un’identità fittizia.

Il falso sé mina lo sviluppo di una personalità integra ed allontana l’individuo dai suoi desideri più intimi e dalla possibilità di vivere un’esistenza autentica. 

E senza autenticità si perde il senso del proprio vivere e si smarrisce la direzione del proprio cammino. 

Tuttavia, un saggio diceva: “per ritrovarsi, alle volte, è necessario perdersi”.

E tu cosa ne pensi?

Un caloroso saluto dal vostro Raffaele.

Sitografia

https://www.rmipsicologo.it/

https://www.rainews.it/articoli/2023/10/malattie-mentali-gli-psichiatri-la-pandemia-del-futuro-boom-di-diagnosi