Gestalt play therapy: il lavoro di terapia con i bambini

Sempre più spesso arrivano in terapia bambini che portano disagi di origine psicologica. La pediatria di base è diventata nel tempo più sensibile rispetto alla salute psicologica dei bambini, questo lo dico perché sempre più spesso ad inviare il bambino ad un consulto è proprio il pediatra di libera scelta.
Nel tempo la professione e l’opera dello psicologo con gli adulti è stata sdoganata probabilmente anche dalla necessità di sostegno che le persone hanno potuto riconoscere di avere a causa del Covid-19 e dell’isolamento ad esso conseguente. Le conseguenze dell’isolamento sociale hanno richiesto una massiccia opera da parte degli psicologi.
Trovo tuttavia ancora delle resistenze e delle perplessità quando si parla della psicoterapia per i bambini.
Le perplessità dei genitori rispetto alla psicoterapia rivolta al bambino riguardano il fatto che il bambino non possa essere in grado di trarre benefici dalla psicoterapia perché piccolo o che essa sia semplicemente un momento di gioco fine a se stesso. I sintomi che il bambino porta con sé hanno un significato e quando esso viene ‘letto’ e svelato essi svaniscono. Il bambino che viene in terapia non parla o gioca semplicemente come farebbe in un contesto della sua vita. In terapia il bambino disegna, gioca o parla con le sue ‘paure’ con i suoi ‘mostri’ con i suoi ‘sintomi’ e questa conoscenza ‘accompagnata’ diventa la terapia stessa. Dietro la pratica clinica ci sono le teorie psicoevolutive e le ricerche scientifiche ben chiare e che fanno da guida nella mente del terapeuta. Il terapeuta che lavora con i bambini ha da imparare a volte molto dai suoi piccoli pazienti e deve essere disposto a ‘scendere’ dalle scarpe e abbassarsi fino al pavimento e a giocare. A diventare un po’ bambino con il bambino. In questo modo si stabilisce un ponte tra il corpo, le emozioni e la volontà, come per esempio nel caso dei bambini iperattivi quando lavorando con l’esperienza tattile ci si concentra nel ‘qui ed ora’ dell’esperienza e il bambino diventa più consapevole dell’esperienza interna, nominandola ed esplorandola. Nel mio approccio il sintomo non serve a ‘diagnosticare’ il disturbo, esso diventa un atto creativo per mezzo del quale il bambino sta affrontando un disagio. Il terapeuta diventa come un alchimista alle prese di pozioni ed incantesimi immerso nel mondo un po’ magico del bambino.