IL BISOGNO DI UNA RINNOVATA CULTURA DEL MOVIMENTO

di Margherita Sassi

Noi esseri umani siamo costantemente protagonisti di situazioni davvero straordinarie che, tuttavia, non stimolano appieno la nostra capacità di meravigliarci.

Tra le situazioni straordinarie che ignoriamo, forse perché oggetto di un riscontro naturale, è possibile annoverare non solo il corpo umano, ma anche la mente e il cervello che lo fanno funzionare, secondo una complessa causalità.

Quello che la scienza sta indagando, secondo diversi punti di vista, è come poter usare queste straordinarie situazioni, sia per offrire a tutti la possibilità di essere fisicamente attivi, che per favorire, dove opportuno, lo sviluppo ottimale di chi è dedito all’alta prestazione.

La Psicologia dello Sport, che rientra appieno tra le Scienze dello Sport odierne, prende forma ufficialmente nel 1965, a Roma, in occasione del Primo Congresso Mondiale di Psicologia dello Sport. Attualmente, indaga le abilità, i processi e le conseguenze della pratica motoria e quindi sportiva in relazione all’individuo e al gruppo, soggetti dell’attività. Pertanto, assodato che il movimento è connaturato all’uomo, se si vuole trattare in maniera esaustiva questo argomento, occorre ammettere di dover fare i conti con la complessità dell’essere umano.

Stando alle indagini recenti, nelle aree di sviluppo all’interno delle quali si indaga la valenza del movimento, confluiscono aspetti fisiologici, cognitivi, emozionali e di salute, che rappresentano solo alcuni degli innumerevoli livelli di approfondimento possibili.

In questi termini, l’obiettivo attuale della Psicologia dello Sport è quello di ottimizzare le abilità mentali in funzione del gesto, motorio o sportivo che sia, impiegando, così, al meglio la piena consapevolezza dell’interazione mente-corpo.

Ma veniamo a trattare la questione con qualche dato alla mano; anzitutto va detto che non bisogna sorprendersi alla notizia che, in Italia, i dati relativi alla pratica delle attività sportive, sono rimasti un tema di forte disinteresse fino a pochi decenni fa.

La prima indagine ISTAT sull’argomento è del ‘59, nel periodo precedente i Giochi della XVII Olimpiade svoltisi a Roma nel ‘60, quando venne realizzato uno studio in cui si chiedeva unicamente agli intervistati se praticavano sport e quale fosse, in caso di risposta affermativa. È solo dagli anni ’80, infatti, che lo sport diventa un tema talmente interessante da divenire oggetto di una regolare rilevazione statistica. Stando a quanto riportato nell’Annuario Statistico Italiano 2020, nel 2019 il 35% della popolazione con più di 3 anni di età pratica almeno uno sport nel tempo libero, il 26,6% in maniera continuativa e l’8,4% saltuariamente.

Le persone che dichiarano di svolgere qualche attività fisica (passeggiare, nuotare, andare in bicicletta) sono il 29,4% (in leggero aumento rispetto alla rilevazione riferita al 2018).

I sedentari (coloro che non svolgono né uno sport né attività fisica) sono il 35,6%.


Le quote più alte di sportivi continuativi si riscontrano tra i 6 e i 17 anni, in particolare fra i maschi di 6-10 anni (61,9%). All’aumentare dell’età diminuisce la pratica sportiva, mentre aumenta la quota di coloro che svolgono qualche attività fisica, raggiungendo i valori massimi tra i 60 e i 74 anni, per poi diminuire sensibilmente. A partire dai 75 anni, infatti, il 67,5% degli intervistati dichiara di non svolgere alcuna attività fisica.

Si osservano differenze di genere rispetto alla pratica sportiva: tra gli uomini il 31,2% pratica sport con continuità e il 9,8% saltuariamente; tra le donne i valori scendono rispettivamente al 22,2% e al 7,0%. Invece, la quota di coloro che svolgono qualche tipo di attività fisica è più alta tra le donne: 31,1% vs il 27,5% degli uomini.

Riguardo alla distribuzione territoriale, si conferma il gradiente Nord-Sud, con livelli più elevati di uno sport continuativo nelle Regioni settentrionali, in particolare nelle due Province Autonome (Bolzano 42,4%, Trento 33,7%) e in Valle d’Aosta (34,1%). Le Regioni con la più bassa quota di sportivi sono la Campania (16,5%) e la Sicilia (18,2%). Analogamente, la pratica di qualsiasi attività fisica fa registrare un gradiente decrescente da Nord verso Sud e Isole (Molise 19,8%, Sicilia 21,4%), mentre per la sedentarietà l’andamento è geograficamente inverso: il 50,2% della popolazione residente nelle Isole, il 47,8% di quella residente al Sud vs il 24,7% di quella al residente al Nord-Est.

Trattando di sedentarietà va aggiunto un altro dato significativo, quello evidenziato da Nerio Alessandri, wellness designer, fondatore e presidente della Technogym, il quale sottolinea che per la prima volta nella storia dell’umanità, il numero complessivo degli individui in sovrappeso supera quello degli individui in stato di denutrizione.

Attualmente, per quanto nel mondo centinaia di milioni di persone soffrono la fame, un numero che nel corso dell’ultimo anno ha raggiunto gli 811 milioni, all’opposto c’è un altro numero altrettanto impressionante. Si stima che quasi 2 miliardi di persone siano sovrappeso o obese a causa di alimentazione scorretta e stile di vita sedentario.

In breve, da un lato abbiamo la statistica, che testimonia l’incremento della sedentarietà dall’altro il bisogno di un’attività fisica naturale e giornaliera, fondamentale per la sopravvivenza.

Il fatto è che se la popolazione dei Paesi ricchi continua a ingrassare e ad ammalarsi, questo avviene perché esistono potenti motivazioni culturali e psicologiche, quindi comportamentali, che promuovono il consumo del cibo sulla pratica del movimento. Ed è evidente che gli interventi debbano essere ben articolati, così come lo sono diventate le indagini più recenti in materia. Di sicuro, essendo questa la situazione, il lavoro dello psicologo è di enorme rilevanza nel supportare le soluzioni al problema e lo sarà ancora di più negli anni a venire, secondo termini e modalità che, però, ad oggi richiedono ancora una grande attenzione.