Il fenomeno sociale dei giovani “Woke”: una generazione sempre in allerta
Il termine inglese “Woke”, la cui traduzione letterale è “sveglio”, definisce uno stato di allerta e di particolare attenzione riguardo alle ingiustizie sociali o razziali.
Nell’ultimo periodo è stato utilizzato per indicare l’attitudine di persone che hanno maturato una grande consapevolezza sulle ingiustizie rappresentate da razzismo, disuguaglianza economica e sociale e da qualsiasi forma di discriminazione. Questa parola è si è fatta manifesto di una generazione ipersensibile, perennemente in guardia, ambasciatrice di valori quali l’uguaglianza e l’inclusione.
L’espressione “Woke” risale al ‘900, tuttavia è negli ultimi 10 anni, con le proteste di “Black Lives Matter” che si è arricchita di un nuovo significato. I giovani “woken”, risvegliati, sono individui attenti e informati che affrontano in maniera consapevole temi caldi come il razzismo e la parità di genere. Dunque un termine utilizzato con accezione positiva per indicare attivisti impegnati nel sociale, accanto ai più deboli, che combattono battaglie per i diritti umani.
Oggi la parola “Woke” ha assunto un significato perlopiù negativo, allo scopo di descrivere questa categoria come individui fanatici e aggressivi. In quest’ottica i social fungono da amplificatore, dando vita a fenomeni virali piuttosto preoccupanti. Uno di questi è la cancel culture: l’atto di sminuire, boicottare o colpevolizzare “l’altro”.
Una modalità che rende difficile, quasi impossibile il confronto, sano e proattivo, tra persone con idee diverse. Una delle conseguenze di questo approccio è, paraddosalmente, la limitazione della libertà di espressione.
La tutela dei diritti e dei differenti punti di vista è nobile e sacrosanta, ma per far sentire la propria voce bisogna dialogare, non sovrastrare.
Occorre quindi costruire uno spazio protetto di dialogo e confronto, sia online che offline, dove l’empatia e la comprensione sono fondamentali per comprendere le esigenze degli altri.