Il “languishing”. Apatici e senza gioia in pandemia

Languishing

Secondo un recente articolo del New York Times, il “languishing” è l’emozione più diffusa in questo periodo di pandemia. Non depressione, ma assenza di gioia.

Con il perdurare della pandemia molte persone vivono un senso di stagnazione e vuoto. “Ti senti come se ti stessi confondendo tra i giorni, come se guardassi la tua vita da un finestrino appannato”, scrive lo psicologo Adam Grant. Il termine, coniato dal sociologo Corey Keyes, fa riferimento ad una condizione in cui non vi è depressione ma neppure benessere. “Non hai sintomi di disturbi psichici ma non sei nemmeno il ritratto della salute. Non stai funzionando a pieno regime”. 

“Languishing” letteralmente significa “languire”. Uno stato di abbattimento causato dal confinamento domestico obbligato, dall’incertezza, dalla paura, dall’assenza di lavoro e di vita sociale. L’aspetto centrale di questa condizione è l’inconsapevolezza. Ci si trascina lentamente nell’apatia e nella solitudine, senza avvertire di stare male, fino ad arrivare a sentirsi senza uno scopo.

Adam Grant parla di un antidoto. Lasciarsi andare ad un flusso (“flow”) che stimoli i sensi e riaccenda le emozioni. Può essere qualunque attività, in cui immergersi piacevolmente, che favorisca uno stato di abbandono completo. Quello stato dove il tempo, lo spazio e i pensieri si dissolvono. E, infine, conclude con un avvertimento: cercare il più possibile di dedicarsi un tempo non frammentato. Lasciarsi alle spalle l’abitudine di spezzettare il tempo, acquisita durante il lockdown, quando abbiamo dovuto fare in modo di tenere insieme smart working, famiglia, casa, figli, DAD.

Il languishing si supera con la consapevolezza

Per risvegliarsi dal torpore di una consapevolezza addormentata bisogna innanzitutto riconoscersi. Portare l’attenzione ai segnali corporei ed emotivi e prendersene cura. Alcune emozioni possono essere difficili da sostenere ma negarle comporta solo altro malessere. Dare un nome al nostro sentire e sapere che molte altre persone condividono le nostre stesse esperienze aiuta. 

Non passivizzarsi e chiedere aiuto 

Dopo più di un anno di pandemia, le risorse per fronteggiare lo stress servite in fase iniziale non bastano. Occorre ristrutturare abitudini, modi di essere e agire, passando per la perdita di ciò che era la vita prima. È faticoso. Emergono rabbia, smarrimento, paura, angoscia. E sebbene siamo equipaggiati per far fronte a tutte le situazioni, il miglior adattamento possibile non sempre coincide con uno stato di salute. Bisogna riconoscere i propri limiti e saper chiedere aiuto quando necessario.

Aver cura degli affetti e delle relazioni 

Il distanziamento fisico e le restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria hanno introdotto forti limitazioni nella vita relazionale. Il senso di rifiuto verso questi cambiamenti può riversarsi sui propri bisogni e sfociare nella rinuncia, tradursi in un ritiro. È fondamentale rimanere aperti agli affetti e continuare ad alimentare la fonte di nutrimento della condivisione e dello scambio con l’altro.

Vivere nel qui e ora

Porsi nell’attesa passiva che tutto finisca determina uno stato di sospensione tra il prima e il dopo che impedisce di accettare e vivere il presente. Occorre stare nel qui e ora. Lasciar andare il passato e interrompere le anticipazioni sul futuro. Canalizzare le risorse nell’esperienza che stiamo vivendo, momento per momento.

Coltivare il desiderio per uscire dal languishing

Per combattere l’apatia (“assenza di passioni”) è utile costruire uno spazio di creatività e progettualità personale in cui esprimersi liberamente, provare piacere, nutrire il desiderio. 

Amare, noi stessi e gli altri, e amare quello che facciamo è energia vitale. Dà senso della nostra esistenza. Ci fa stare in salute, sostenere e affrontare le difficoltà della vita.