Il percorso psicologico temuto come perdita di sé
Il percorso psicologico a volte può essere temuto come perdita di parti di sé.
C. viene in seduta da circa 4 mesi. È da un po’ che studiamo e osserviamo il suo sentimento di colpa, onnipresente appena C. accenna a fare un passo al difuori delle aspettative degli altri in quanto brava figlia, ragazza, studentessa, amica.
Questo senso di colpa viene toccato con mano nei diversi e variegati contesti vissuti da C., facendo ormai veloci e chiari collegamenti tra passato e presente. Tuttavia, da qualche incontro sembriamo vivere uno stato di impasse.
Ogni volta che, infatti, esploriamo letture e percorsi di azione alternativi alla necessità di rispondere alle richieste altrui, C. resiste, spaventandosi. Per lei, la prospettiva di deludere le aspettative altrui è irraggiungibile: una catastrofe rispetto al disagio provato finora che, sebbene doloroso, è quanto meno conosciuto.
Ad uno dei nostri incontri esordisce dicendo che c’è una parte sempre più insistente di lei che vorrebbe lasciare il percorso e accontentarsi della maggiore consapevolezza raggiunta. Un’altra parte, invece, sa di dover continuare fino in fondo. Facendo conversare questi due pensieri, arriviamo ad una metafora.
C. dice di trovarsi in una grotta stretta, scura, ma ben arredata. Con l’andamento dei nostri incontri è riuscita a trovare una porta, che da su un corridoio alla cui fine c’è un’uscita luminosa. Mentre raggiunge faticosamente l’uscita, si volta verso quella vecchia grotta che sembra, passo dopo passo, più calda e attraente.
Facciamo quindi un esercizio di immaginazione guidata, per provare ad esplorare che cosa ci sia aldilà dell’uscita. C. racconta di attraversare il corridoio e sbucare in un bel prato verde dai colori sgargianti, alberi in fiore e, in lontananza, il cinguettio degli uccellini. Percorrendo un sentiero nelle vicinanze incontra un ruscello, dove decide di bagnarsi. L’acqua è fredda e dissetante. Ma come beveva all’interno della grotta? – si chiede. C. colloca, per logica, un pozzo nella caverna dove dice di trovare dell’acqua calda, che riscalda ma non disseta.
<<Ma a me piace l’acqua calda!>> – dice C. – <<e ora ho paura di non trovarla più>>. Comincia a spaventarsi: <<e se ci sono animali feroci? E dove dormo quando cala il sole? >>, si chiede, cercando riparo nella grotta.
Spesso, intraprendere un percorso psicologico porta con sé la paura di dover abbandonare delle parti di sé. Sono quelle parti che ci hanno tenuti in vita fino ad ora nel migliore dei modi possibili. Riprendo la metafora dell’acqua per spiegare il processo di cura: il punto non è scegliere tra acqua fredda o calda, quanto impegnarsi insieme per costruire un rubinetto che possa darci acqua fresca quando siamo assetati e acqua calda quando abbiamo freddo.
Analogamente, la terapia è quel percorso che porta a riconoscere la necessità di entrare in grotta al riparo dal freddo, con la gioia di uscire al mattino seguente.