Il ruolo della donna nella pubblicità

Il ruolo della donna nella pubblicità è cambiato negli anni così come sono cambiati i valori legati al genere e all’essere donna. In questo articolo si fa riferimento al contesto italiano, nonostante tali cambiamenti siano avvenuti anche in altri Paesi.

Nel secondo dopoguerra, in Italia si assiste al boom economico e si innesta il mercato di sostituzione dove si cerca di convincere le persone a prendere la nuova versione dei prodotti per sostituire quelle vecchie.

La pubblicità è principalmente rivolta alle donne perché sono loro ad occuparsi della casa e quindi degli acquisti.

Per i generi alimentari, l’immagine della donna è quella della moglie e casalinga perfetta, concentrata sulla casa e sui consumi, che si dedica alla cura dei figli. I prodotti beauty, invece, promettono il sogno dell’effimera bellezza con l’obiettivo di piacere ai propri uomini. Infine, per quanto riguarda gli elettrodomestici si punta molto sul beneficio funzionale e su come quel prodotto consente di risparmiare tempo.

Successivamente, se la rivoluzione del ‘68 ha portato alla conquista di numerosi diritti, a livello pubblicitario c’è stato un effetto opposto.

Le donne da casalinghe vengono rappresentate come meri corpi. Il loro unico scopo era quello di attirare l’attenzione attraverso sguardi ammiccanti e slogan rappresentanti doppi sensi a sfondo sessuale. Le donne vengono considerate solo come oggetto del desiderio maschile.

Nella seconda metà degli anni 80’ fanno la loro prima comparsa in pubblicità le donne in carriera che sono tendenzialmente belle, eleganti e sicure di sé. Hanno, però, un abbigliamento tipicamente maschile, in quanto si tratta di una trasfigurazione al femminile di un ideale maschile di lavoratore. 

All’inizio degli anni ’90 appare in pubblicità per la prima volta la figura di una donna aggressiva, che farebbe di tutto per guadagnarsi il suo posto nella società maschilista. Si cominciano a virilizzare alcuni atteggiamenti femminili che risultavano troppo dolci e gentili.

Con gli anni 2000 e con la nascita dei social network, le donne cominciano a confrontarsi sulle rappresentazioni che le connotano in ambito pubblicitario.

Non rispecchiandosi più in ruoli stereotipati e ben delineati, interagiscono con i contenuti pubblicati ed esprimono il loro dissenso. Nasce così il Femvertsing, che si propone di presentare modelli femminili forti, positivi e non standardizzati, al fine di superare gli stereotipi di genere.

Il Femvertising non è però esente da rischi.

Spesso le aziende posso farne un uso strumentalizzato solo per questioni di marketing e con scopi di lucro. È importante che gli spot basati sull’empowerment femminile non vengano solamente promossi, ma è soprattutto fondamentale integrare tali valori nella responsabilità sociale d’impresa. Ad esempio, adottano politiche aziendali che non discriminano per il genere. 

Inoltre, è importante fare attenzione a non cristallizzare la donna in un nuovo ruolo. Infatti, il rischio del Femvertising è creare un’idea di donna impeccabile e imbattibile sul fronte lavorativo. 

Successivamente un altro rischio è quello di ancorare l’autostima femminile alle forme del proprio corpo.

Dunque, il Femvertising non deve affermarsi come una semplice moda perché altrimenti si rischia di banalizzare dei principi femministi molto importanti. Deve essere, infatti, seguito da una serie di politiche aziendali coerenti con tali valori.

Questo è un esempio delle trasformazioni che il ruolo della donna ha avuto nella pubblicità in corrispondenza dei cambiamenti valoriali, storici e culturali e delle conseguenze che hanno portato.