Il ruolo della fede in psicoterapia
Il ruolo della fede nella psicoterapia
<<Laddove non arriva il pensiero, ci vuole fiducia>>
Enne, nel mezzo di una seduta, mi racconta di aver visionato un video la sera prima, che mostra l’immagine del conflitto israelo-palestinese. <<Un uomo, tra le macerie, con il figlio morto tra le braccia, con una serenità in volto dice “è il volere di Allah”>>.
<<E come è stato per lei?>>
<<Angosciante, ma liberatorio. Un qualcosa di pacifico>>
Cominciamo così a parlare della fede. Ad Enne, italiano di origini palestinesi, in questo periodo storico di fede ne è rimasta poca. Partiamo da un contesto preciso, quello religioso, per poi spogliarlo di un significato spirituale.
In letteratura ci sono molte evidenze circa il ruolo che la fede riveste nel fronteggiamento delle cure oncologiche terminali e non. Promuove una proattività nel paziente, con una maggiore aderenza alle cure, una generale risposta positiva dell’organismo, in una rete di fattori indiretti che aumentano la percezione di benessere dell’individuo.
Io che non sono credente, mi ritrovo a pensare ad una delle mie prime sedute di terapia personale. All’esposizione dei miei pensieri ruminativi di ricerca assoluta di certezza, il terapeuta mi risponde:<<laddove non arriva il pensiero, abbi fede>>. Ragioniamo un po’ su ciò che fede può significare per noi.
Potrebbe aiutare a minimizzare la gravità di un errore. <<Ho fatto bene? È la scelta giusta?>>. Sono quesiti a cui non si può arrivare con assoluta certezza, in quanto fa parte di un’attività di previsione del futuro da parte della mente. Può cioè aiutare ad accettare il fallimento di un bisogno universale dell’uomo: il bisogno di certezza. La fede ci aiuta ad accettare con benevolenza l’incertezza, ingrediente fondamentale dell’emozione dell’ansia.
Permette inoltre di accettazione del fallimento dei nostri scopi più profondi, che non è passività. È fiducia nella possibilità che nella vita ci siano altri scopi alternativi per noi più funzionali. Aiuta, infine, a fronteggiare il dolore dello scopo perduto.
E per me che non sono credente, parlare di fede mi sorprende molto. Mi sembra irrazionale, abbandonica, un inno alla passività. Mi sono poi scoperta ad avere fede continuamente, nelle piccole cose. Ogni volta che non pensiamo al respiro, ad esempio. In tutte le azioni in cui non siamo consapevoli, e abbiamo fede che il nostro corpo si prenda cura di noi. Per tutte le volte che troviamo l’altro ad un incontro concordato, e ci sembra normale che possa essere lì ad aspettarci. Mi sono sorpresa a scoprire in quante cose ho fede continuamente senza darci peso, e di come questo mi permetta invece di portare attivamente avanti i miei obiettivi.
Perché in fondo avere fede vuol dire accettare l’esistenza di ciò che è al di fuori del nostro controllo. Perché in fondo, dico ad Enne, avere fede è ciò che ci permette di star qui nell’incontro con la certezza che questo pavimento non crollerà.