Oncologia: la psicologia alleata della forza di vita

Resoconto di una esperienza di tirocinio

Poco più di due anni fa, decido di svolgere il mio tirocinio pre-laurea all’UOC di oncologia medica. Durante i miei incontri con la psico-oncologa del reparto, decidiamo di fare delle simulate: per restare in luogo sicuro, io sono l’utente. Dopo aver impersonato un’eterogeneità di ruoli d’utenza, arriva Marica, di 45 anni, con tre figli, appena operata di cancro al seno. A inizio seduta, sentivo di non sapere nulla di una donna di circa 20 anni più grande di me, con delle figlie adolescenti, operata di una malattia di cui credo di poter capire ancora poco.

L’incontro successivo, mentre già mi preparo a protestare per un ruolo che non mi appartiene, la dottoressa mi avvisa che stavolta sarò io la psicologa. Nonostante trovi difficoltoso partire da un secondo colloquio, accetto, e cominciamo la simulata.

Mi sembra di essere inondata da un flusso caotico di informazioni. Marica porta la mia costante attenzione sulla gestione della vita in famiglia: mostra una forte rabbia nei confronti delle due figlie, che sono sempre chiuse in camera, e del marito che non sembra darle una mano. Parla della malattia, dell’infermiera, dell’oncologa che non riesce a contattare, del disagio di non sapere come dovrà proseguire e quando questa storia finirà. Dice di continuare a provare sintomi d’ansia, di dormire male la notte e fare anche degli incubi. Chiede continuamente << ma è normale?>>, ed io cerco di recuperare alla mente quelle nozioni di psicologia dello sviluppo per cercare di giustificare in parte il comportamento dei figli.

Consiglio di poter aprire uno spazio di conversazione sul dolore e sulla paura che queste ragazze hanno potuto provare. Marica lo rigetterà con diverse scuse e motivazioni: “ma ci ho già provato” “ma tanto è inutile” “si ma mica è colpa mia”.

Dopo 50 minuti di conversazione agguerrita mi libero, quasi in un lamentoso sfogo, del caos da cui mi sono sentita investita nelle parti iniziali del colloquio. In oncologia è sempre così. Al disagio che un utente può provare sulla base della propria storia personale, subentra improvvisamente ed in modo dirompente la malattia. Il timore di morte, il dolore del percorso di cure, accompagna la co-narrazione in modo più o meno latente. La tutor mi dirà poi di essersi sorpresa della notizia di una tirocinante molto giovane in un contesto oncologico, temendo potesse essere pesante e spaventoso per la mia carriera.

La mia scelta è stata dettata dalla notizia di un incidente fatale di una mia coetanea, che mi ha portato alla necessità di “riappacificarmi con l’idea di morte”. Un tirocinio in cui si sfiora la morte in ambito protetto, credevo potesse essere un primo passo in questa direzione. <<Con la morte non ci puoi far pace>> mi risponde la tutor. La forza della terapia in oncologia sta proprio nel sostenere il paziente a schierarsi, con tutte le proprie forze, con il desiderio di vita.

Terminiamo la supervisione con questa immagine che vorrei tenermi stretta e che mi rassicura molto: la psicologia eterna alleata, nel suo percorso, della forza di vita.