Indagare la Prosocialità in Età Evolutiva: la prova di completamento di storie sull’orientamento prosociale

di Lia Corrieri

Introduzione

La prosocialità è un costrutto multidimensionale complesso che, proprio per queste sue caratteristiche, risulta essere particolarmente difficile da descrivere. Tra le definizioni più recenti presenti in letteratura figura quella proposta da Jensen (2016), il quale ha spiegato la prosocialità come “quell’insieme di comportamenti volti a beneficiare l’altro o gli altri” portando, a titolo di esempio, condotte come l’aiutare ed il confortare il prossimo. Sebbene questa definizione si focalizzi soprattutto sulla dimensione comportamentale del costrutto, Jensen stesso (2016) ha osservato come un comportamento propriamente prosociale debba essere mosso da intenzionalità e da un effettivo interesse per il benessere altrui, evidenziando come queste dimensioni non siano aspetti di secondaria importanza. A tal proposito, risultano essere particolarmente interessanti anche le riflessioni mosse da Caprara (2006), il quale ha osservato come spesso molti studiosi tendano ad etichettare un comportamento come prosociale basandosi esclusivamente sugli effetti prodotti da quel determinato comportamento, non considerando invece le importanti motivazioni soggiacenti l’azione stessa. Le difficoltà nel definire il costrutto in questione sono imputabili anche all’elevato numero di associazioni tra la prosocialità ed altri fattori che, seppur tra loro distinti, concorrono ad influenzare la qualità dell’adattamento sociale (Grazzani & Ornaghi, 2015). Un esempio, in questo senso, ci viene offerto dall’empatia, ovvero l’abilità a rispondere affettivamente alle emozioni altrui (Hoffman, 2000), costrutto quindi diverso dalla prosocialità che sembra però esserne alla base (Grazzani & Ornaghi, 2015).

Il panorama teorico

Nel corso degli anni diverse prospettive teoriche hanno cercato di offrire un contributo alla comprensione della prosocialità. Tra le varie prospettive, quella neuroscientifica ha avuto il merito di evidenziare, soprattutto mediante studi di neuroimaging, un’effettiva associazione della prosocialità con altri costrutti, come già precedentemente accennato. Studi neuroscientifici hanno evidenziato, ad esempio, come la capacità empatica sembri guidare la prosocialità, tanto da portare alcuni Autori a leggere i comportamenti prosociali come tentativi volti a ristabilire un’omeostasi negli individui che hanno subito un’iperattivazione a seguito della condivisione empatica dell’altrui malessere (Decety et al., 2015). Studi di neuroimaging hanno permesso di osservare che l’attivazione nelle aree prefrontali mediali sembra predire l’attuazione di comportamenti prosociali durante la mentalizzazione (Waytz et al., 2012), chiamando così in causa un costrutto caro sia alla psicologia dell’età evolutiva che alla psicologia psicodinamica. La mentalizzazione può essere definita come “l’attività mentale immaginativa capace di cogliere gli stati mentali altrui, in termini di emozioni, credenze, intenzioni, motivazioni, desideri, bisogni ecc. “ (Bergamaschi, 2014). Fondamentale ricordare quanto tale capacità sia alla base della Teoria della Mente, ovvero “la comprensione intuitiva che le persone hanno degli stati mentali propri ed altrui” (Schaffer, 2008).

Ulteriori ricerche sviluppatesi in ambito neuroscientifico hanno permesso, inoltre, di evidenziare come la corteccia cingolata anteriore sembri esser implicata nell’apprendimento sia in condizione di rinforzo diretto che vicario, sottolineando così una connessione tra noi e l’altro che testimonia l’importanza della dimensione sociale dell’apprendimento stesso (Lamm, Rutgen & Wagner, 2019). Queste osservazioni sono rilevanti anche per quanto concerne la prosocialità poiché, come già sostenuto da Albert Bandura, i comportamenti prosociali possono esser acquisiti mediante un processo di apprendimento sociale, basato sull’osservazione ed imitazione di modelli adulti associati al rinforzo sia diretto che vicario (Miller, 1987). E’, inoltre, doveroso ricordare che Bandura ha avuto anche il merito di evidenziare la complessità dello sviluppo prosociale che risulta essere fortemente connesso a quello morale, come sostenuto anche da altri autori importanti per la psicologia, tra i quali ricordiamo Jean Piaget Lawrence Kohlberg e Nancy Eisenberg (Eisenberg, 1983; Eisenberg, 1991; Hoffmann, 2000). A partire da quanto detto, risulta quindi chiaro come la prosocialità possa essere indagata da prospettive che, seppur diverse, sembrano essere però in sincronia tra loro.

Lo sviluppo della prosocialità

Lo sviluppo della prosocialità sembra esser influenzato da fattori di diversa natura, sia biologici, come la presenza del polimorfismo GG per l’allele del recettore per l’ossitocina, che ambientali, come il manifestarsi di eventi avversi come catastrofi naturali (Decety et al., 2015). Come già accennato precedentemente, lo sviluppo dei comportamenti prosociali è fortemente connesso allo sviluppo di altri aspetti, tra i quali ricordiamo la dimensione emotiva e morale, ed altri costrutti, come empatia e simpatia (Vianello et al., 2019). E’ stato osservato che già nel corso del primo anno di vita i bambini sono capaci di utilizzare delle espressioni facciali, come il sorriso, al fine di consolarle gli altri, dimostrandosi anche capaci di appellarsi al social referencing, ovvero la capacità di attuare dei comportamenti guidati dalle espressioni emotive dei caregivers (Shaffer, 2008; Vianello et al., 2019). Durante l’età prescolare i bambini incominciano a mostrare comportamenti prosociali, come la ricerca del contatto fisico, in risposta alla preoccupazione dettata dalla percezione degli stati emotivi negativi altrui. Tuttavia, in questo periodo di vita, la frequenza dei comportamenti prosociali sembra esser ancora moderata e fortemente ancorata allo sviluppo cognitivo (Decety et al., 2015; Vianello, 2019). In età scolare, nello specifico nel corso della scuola primaria, sembrano aumentare e migliorare i comportamenti di aiuto strumentale e conforto, mentre in adolescenza si assiste ad un incremento delle azioni volte ad incrementare le esperienze di condivisione (Vianello, 2019).

La prova di completamento di storie sull’orientamento prosociale

L’eterogeneità delle definizioni di prosocialità, i diversi livelli di analisi, le sue numerose associazioni con altri costrutti e le molteplici prospettive, implicano non pochi problemi metodologici nell’indagine di questo costrutto (Grazzani & Ornaghi, 2015). I principali strumenti utilizzati per studiare e valutare la prosocialità possono essere riconducibili a due tipologie principali: griglie di osservazione e questionari auto o etero somministrati (Denham, 1996). Il gruppo di ricerca dell’Università degli Studi di Milano Bicocca ha proposto un’alternativa per indagare la prosocialità, al fine di arricchire la varietà strumentale, con l’intento di arginare alcuni limiti, come le lunghe tempistiche e la desiderabilità sociale, associati all’utilizzo dell’osservazione e della somministrazione di questionari auto/etero somministrati (Grazzani & Ornaghi, 2015). Lo strumento messo a punto da questo team di ricerca si basa sulla tecnica del completamente di storie ed è stato denominato “Prova di completamento di storie sull’orientamento prosociale”. Lo strumento è stato sviluppato per indagare, nello specifico, l’orientamento prosociale, ovvero “la tendenza individuale a provare empatia e comportarsi in modo prosociale”, nei bambini in età prescolare (Grazzani & Ornaghi, 2015). La prova consiste nel presentare al bambino una serie di vignette, raffiguranti degli scenari, ciascuno riconducibile ad una diversa forma di prosocialità, che possono presentarsi anche nell’esperienza quotidiana infantile, come il vedere un compagno in difficoltà. La presentazione della vignetta al bambino è accompagnata da una breve descrizione verbale della scena da parte dell’esaminatore, il quale, una volta conclusa suddetta descrizione, dovrà chiedere al bambino di formulare un possibile finale per la vignetta illustrata. Una volta formulato, il finale verrà analizzato mediante un sistema di codifica così da attribuire un punteggio numerico alla risposta offerta. L’attribuzione di tale punteggio tiene di conto di diversi elementi che possono essere presenti o meno nelle risposte degli esaminati, dal riconoscimento dello stato emotivo fino alla presenza di riferimenti a comportamenti prosociali (Ornaghi et al., 2015).

Da una prima analisi psicometrica è emerso che lo strumento presenta un buon accordo tra valutatori (α di Krippendorff rispettivamente pari a .82, .82 e .84) ed una validità convergente per quanto concerne le misure inerenti la Teoria della Mente (r = .45; p <.0001) e la comprensione emotiva (r = .39; p = .001) (Ornaghi et al., 2015). L’utilizzo di questo strumento può rivelarsi particolarmente utile sia in contesti di ricerca che di intervento, soprattutto per quanto concerne la valutazione di training specifici volti ad incrementare le competenze prosociali (Ornaghi et al., 2015).

Conclusioni Sebbene il compito di completamento di storie meriti delle analisi psicometriche più approfondite, esso sembra però rappresentare un’interessante alternativa strumentale nella valutazione della prosocialità per diversi motivi: 1.Permette una valutazione diretta della prosocialità infantile. Le risposte ottenute, infatti, non sono mediate dai caregivers e possono esser offerte anche dai bambini in età prescolare che non sono in grado di rispondere ai questionari autosomministrabili 2.Permette di ovviare alle criticità temporali imposte dalla metodologia osservativa 3.Permette di maturare delle riflessioni anche su altri aspetti associati alla prosocialità, come la Teoria della Mente e la comprensione emotiva che possono essere coinvolti nel compito stesso 4.Offre degli spunti di riflessione degni di nota anche a professionisti con cornici teoriche differenti, da quella psicodinamica a quella cognitivista 5.Sottolinea l’importanza di un approccio conversazionale nel potenziamento delle condotte sociali in età evolutiva (Grazzani & Ornaghi, 2015).

Bibliografia

– Caprara, G. V. & Bonino, S. (2006). Il comportamento prosociale: aspetti individuali, familiari e sociali. Trento: Erickson.

– de Rosnay, M. & Hughes, C. (2006). Conversation and theory of mind: Do children talk their way to socio-cognitive understanding? British Journal of Developmental Psychology, 24. Citato in Grazzani, I. & Ornaghi, V. (2015).

– Decety, J., Ben-Ami Bartal, I., Uzefovsky, F. & Kanfo-Noam, A. (2015). Empathy as a driver of prosocial behaviour: highly conserved neurobehavioural mechanism across species. Philosophical Transactions of the Royal Society B (371).

– Denahm, S. (1986). Social cognition, prosocial behaviour and emotion in preschoolers: contextual validation. Child Development, 57. Citato in Grazzani, I. & Ornaghi, V. (2015).

– Grazzani, I. & Ornaghi, V. (2015). La “Prova di completamento di storie sull’orientamento prosociale”: un’esperienza per potenziare la disposizione ai comportamenti di aiuto. Psicologia clinica dello sviluppo (XIX), 2.

– Hoffman, M. (2000). Empathy and moral develop- ment. Cambridge: Cambridge University Press (trad. it. Empatia e sviluppo morale, Bologna: Il Mulino, 2008) in Grazzani, I. & Ornaghi, V. (2015).

– Jensen, K. (2016). Prosociality. Current Biology Medicine (26).

 – Lamm, K., Rutgen, M. & Wagner, I. C. (2019). Imaging empathy and prosocial emotions. Neuroscience Letters (693), 49-53. – Miller, P. H. Teorie dello Sviluppo Psicologico (1987). Bologna: il Mulino.

– Ornaghi, V., Grazzani, I., Cherubin, E., Conte, E., Pi- ralli, F. (2015). “Let’s talk about emotions!”. The effect of conversational training on preschoolers’ emotion comprehension and prosocial orienta- tion. Social Development, 24(1).

– Roche, R. (1995). Psicologia y education para la prosocialidad. Università Autonoma di Barcellona 1995. Citato in Pastore, V. (2017) Lo sviluppo del comportamento prosociale dall’infanzia all’età adulta e le differenze di genere.

– Shaffer, R. (2008). I concetti fondamentali della psicologia dello sviluppo. Milano: Raffaello Cortina Editore.

– Vianello, R., Gini, G. & Lanfranchi, S. (2019). Psicologia dello sviluppo. Torino: UTET.

– Waytz, A., Zaki, J., Mitchell, J.P. (2012). Response of dorsomedial prefrontal cortex predicts altruistic behavior. Journal of Neuroscience (32).

Sitografia

– Bergamaschi, L. (2014). Mentalizzazione. Consultato in data 06 Marzo, 2022 da https://www.spiweb.it/ la-ricerca/ricerca/mentalizzazione/

– Pastore, V. (2017). Lo sviluppo del comportamento prosociale dall’infanzia all’età adulta e le differenze di genere. Consultato in data 20 Febbraio, 2022 da https://www.stateofmind.it/2017/11/ comportamento-prosociale-sviluppo/