Quando l’invidia diventa distruttiva
L’invidia è un sentimento di per sé naturale che talvolta può diventare distruttivo fino a sfociare in esiti patologici.
La parola “invidia” è data dall’unione del prefisso in (sopra) e vĭdēre (guardare). Letteralmente: guardare sopra. Osservare nell’altro qualcosa che vorremmo avere, ma che non abbiamo, può suscitare in noi invidia. Per l’appunto, il desiderio di possedere ciò che appartiene all’altro.
L’invidia è un vissuto molto complesso, dalle tante sfaccettature e connotazioni emotive diverse. Consiste nel provare emozioni spiacevoli, di dispiacere, tristezza o rabbia, di fronte alle qualità, al successo, alla felicità altrui. Questo sentire può accompagnarsi ad un senso di ingiustizia: “Perchè a lui/lei sì e a me no?”. Può essere investito di ammirazione, nella sua forma più sana, o di odio, nella sua forma più distruttiva.
L’invidia e la mancanza
L’invidia fa luce su di una mancanza. Ed in questo svolge una funzione importante. Va riconosciuta, senza giudizio, prendendosene la responsabilità. Sia nel verso dell’accettare che alcune cose non possiamo cambiarle, sia nel verso di attivarci per ciò che invece possiamo cambiare. Riportare lo sguardo su noi stessi dunque, diventa l’obiettivo. Accettarci, in tutte le nostre parti, e prenderci cura dei nostri bisogni e desideri.
L’invidia trova il suo opposto nella gratitudine. Nell’amore e nella pienezza che scaturisce dal riconoscere il valore di ciò che si ha e della vita. Chi tende a stare per la maggior parte del tempo nell’invidia non può provare gratitudine. Vive in una costante mancanza e nel circolo vizioso del guardare sempre a ciò che manca.
Lo sguardo invidioso
L’invidia è difficilmente riconosciuta e tantomeno condivisa. E’ perlopiù negata o tenuta nascosta, per proteggere una immagine positiva di sé. Il provarla può procurare vergogna, senso di colpa. L’invidia cresce in silenzio, nello sguardo rivolto alle vite degli altri. Dante Alighieri, infatti, per la legge del contrappasso, immagina gli invidiosi con gli occhi cuciti da filo di ferro, in modo che non possano vedere.
In alcuni casi lo sguardo invidioso si alimenta di una idealizzazione, dell’illusoria perfezione che si legge nell’altro cui si contrappone una percezione di sé negativa e perdente.
Secondo Kierkegaard, l’invidia è ammirazione corrotta dall’orgoglio. Ma, mentre quando ammiriamo ci poniamo ad una distanza che ci consente di provare ispirazione e appagamento, quando invidiamo bramiamo di essere al posto dell’altro ed il coinvolgimento emotivo può essere anche molto elevato. Può far male, fino quasi a provare dolore nel corpo. L’ammirazione ci eleva, ci fa evolvere. L’invidia può trascinarci in un abisso cupo di inquietudini.
Sul versante distruttivo e patologico
L’invidia diventa distruttiva quando si accompagna al desiderio di danneggiare l’altro o ciò che possiede, nell’intento illusorio di pareggiare i conti e di eliminare la propria sofferenza. Caino, accecato dall’invidia, uccide suo fratello Abele, poichè non tollera che i suoi beni siano i prediletti.
Nella sua forma patologica, l’invidia poggia sulla svalutazione di sé e su un profondo senso di inferiorità. La persona tende ad assumere una posizione vittimistica con comportamenti passivi, di conferma della propria impotenza e sfortuna. Oppure, sentendo di aver subito un torto dalla vita, può animarsi di risentimento e odio, assumendo comportamenti violenti, attraverso cui cerca vendetta e riscatto.