La comunicazione pubblicitaria durante il Covid

Allo scoppio della pandemia da Covid-19, le aziende si sono interrogate su come procedere nella comunicazione pubblicitaria. Le strade che potevano intraprendere erano tre:

  1. Continuare con le comunicazioni in corso con il rischio che si creasse un effetto straniante nel vedere la vita pre-pandemia)
  2. Sospendere tutte le attività con il rischio di suscitare la percezione di abbandono/disinteresse
  3. Modificare/adattare le comunicazioni con il rischio di suscitare la percezione di speculazione/insensibilità

Le aziende hanno intrapreso le tre diverse strade. Alcune sono state molto reattive e hanno mandato in onda le prime campagne dopo poche settimane dallo scoppio della pandemia. Altre, invece, hanno aspettato e in parte sospeso le loro attività comunicative.

Pensando alle aziende che non si sono fermate in termini di comunicazione pubblicitaria, alcune hanno puntato più su una dimensione di rassicurazione (“Andrà tutto bene”), altre sulla gestione concreta della quarantena con consigli su attività da svolgere. Da metà maggio 2020, invece, hanno iniziato a puntare più sul tema della ripartenza. In generale, dunque, si prospetta il tema del “Ci rivediamo”.

Le campagne pubblicitarie che ci hanno accompagnato nei mesi della pandemia da Covid-19, però, erano tutte identiche.

Dicevano tutte le stesse cose con lo stesso tone of voice e lo stesso storytelling, lasciando il focus sui prodotti e i brand in secondo piano. Ad esempio, erano sempre presenti la bandiera italiana, le persone al balcone, gli arcobaleni, le persone che cucinano, il personale sanitario, il tempo libero in casa e le videocall… 

Questo ha comportato sicuramente diversi rischi, tra cui il cosiddetto rischio di Covid-washing. Tutte le aziende fanno vedere di essere vicine agli italiani, ma al contempo fanno perdere di vista il messaggio.

Questa strada intrapresa dalle aziende si è dimostrata essere un problema solo a posteriori, in quanto diventava difficile per i consumatori capire quale brand avesse detto cosa. La difficoltà a riconoscere un brand portava anche ostacoli nel ricordarlo. 

Inoltre, molti brand si sono allontanati eccessivamente dai propri valori fondativi. La ruota di Schwartz individua più di 50 valori fondativi delle persone e anche delle personalità di un brand. Dunque, ogni brand ha un posizionamento chiaro su questa ruota. Durante la pandemia, improvvisamente tutti i brand sono andati a coprire i valori di benevolenza, universalismo e tradizione. Per alcuni brand era corretto rispondere a questi valori in quanto sono sempre stati posizionati in quell’area, per altri no in quanto stonavano con i propri valori fondativi. 

Una ricerca svolta da Hokuto e Conic nel lockdown indica che il 60% degli italiani si era stancato della comunicazione pubblicitaria legata al Covid e il 50% sosteneva che la pubblicità aveva esagerato ad adeguare i contenuti all’emergenza sanitaria. 

Al tempo stesso, però, il 72% dei consumatori si aspettava che le aziende offrissero il proprio contributo in quanto aventi una responsabilità sociale. Il 70% dei consumatori volevano sentire cosa i brand potessero offrire per superare la crisi.

In conclusione, più che proporre un generico messaggio di resistenza e resilienza, sarebbe stato importante mostrare in modo concreto come il brand, con i suoi prodotti e servizi, poteva aiutare il consumatore a superare la crisi, guidandoli verso una nuova normalità, restando però coerenti con la propria mission, vision e valori di riferimento

Questo avrebbe significato articolare le azioni di marketing su diversi livelli:

  1. Mostrare empatia: soprattutto nella primissima fase
  2. Favorire l’adattamento ad una nuova realtà: proponendo nuove attività da fare
  3. Promuovere una visione su un futuro post-Covid

BIBLIOGRAFIA

Hokuto & Conic (2020). Come è cambiata l’attenzione dei telespettatori nei confronti degli spot pubblicitari ai tempi del Coronavirus?