La musica: una facoltà psicologica innata?

Musica e canzoni d’amore, in tutte le lingue del mondo.

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Nel 2019, su Science, è apparso l’articolo “University and Diversity in Human Song”, di Samuel Mehr e altri, che giunge a una conclusione precisa, supportata da una vastissima ricerca sui comportamenti musicali di ben 60 società e culture in tutto il mondo: la musica è universale e si basa su “facoltà psicologiche sottostanti”, innate.

Canzoni d’amore, ninnananne, canzoni che danno sollievo e cura, canzoni per ballare: ecco i quattro tipi riscontrabili in tutte le culture del mondo.

Mehr , del Dipartimento di Psicologia di Harvard, è ricercatore principale presso il Music Lab, un laboratorio di psicologia che studia la percezione e la produzione della musica. L’esperimento è stato condotto proponendo a 30.000 persone di origine occidentale l’ascolto di canzoni dei quattro tipi, che provenivano da luoghi diversi, tra cui la Micronesia e l’Africa occidentale, l’Europa sudorientale e il sud America meridionale.

Gli ascoltatori hanno identificato correttamente, in un numero di casi significativo, le canzoni per tipo, basandosi sul ritmo e sul tempo. Può essere difficile distinguere le canzoni d’amore e le ninnananne, ma anche in questo caso gli ascoltatori hanno percepito le distinzioni, registrando una maggiore ampiezza e varietà di tempi e suoni nelle canzoni d’amore.

Mehr e coautori sostengono che la capacità degli ascoltatori di identificare le canzoni sconosciute per tipo, senza nessun aiuto di comprensione dal linguaggio, suggerisce “che le caratteristiche universali della psicologia umana spingono le persone a produrre e apprezzare canzoni con certi tipi di schemi ritmici o melodici che naturalmente si adattano a determinati stati d’animo, desideri, e temi”.

Altri ricercatori e studiosi di etnomusicologia non sono d’accordo con questa generalizzazione: sostengono che rischia di eliminare le differenze e le sfumature specifiche di ogni produzione musicale delle diverse culture. Insomma, il campo è complesso e viene complicato, come sempre nelle vicende umane, dal punto di partenza assunto, anche nella ricerca scientifica.

Sulle origini evolutive, Mehr scrive che nei mammiferi, i segnali uditivi forti sono spesso di natura antagonista e gli avvertimenti territoriali sono un ottimo esempio. Le chiamate territoriali segnalano che un’area è occupata. La musica, in particolare il canto e i tamburi ad alto volume, era “un mezzo per i gruppi per mostrare in modo credibile le loro qualità ad altri gruppi”, un modo per scoraggiarli a invadere un territorio già occupato o, al contrario, per mostrare forza e generare paura e fuga.

Un altro studioso, Savage, come approfondito da Kevin Bergen di Nautilus, con una ricerca sulle varie direzioni degli studi scientifici attuali sull’argomento, afferma che la musica, con le sue combinazioni di ritmi, attiva gli stessi meccanismi nel sistema motorio del cervello connessi alle azioni di camminare, parlare e, per l’appunto, ballare. La musica crea aspettative mentali sulla nota successiva, che poi soddisfa o capovolge, generando una scarica emotiva.

Aniruddh Patel, professore di psicologia alla Tufts University, sostiene che la musica, che viene naturale agli umani, non è qualcosa che condividiamo con altri primati: “è un indizio che qualcosa è cambiato nel nostro cervello rispetto ad altri primati”. È convinto che, come specie umana, abbiamo “mescolato biologia e cultura nel nostro cervello”. In sintesi: abbiamo una predisposizione innata per la musica, ma  l’apprendimento gioca un ruolo enorme. L’interazione tra biologia e cultura modula e dà origine ad aspetti importanti e specifici della mente umana.

È un argomento vastissimo, che abbraccia il ritmo, il linguaggio, i suoni, il battito del cuore e il corpo, e ci apre comprensioni universali sulle nostre modalità evolutive e sociali. In Italia riaprono presto le discoteche e la prossima volta che andiamo a ballare possiamo pensare a tutti i significati di sincronia dei movimenti, di condivisione, di segnali sociali e funzioni di accudimento e aggregazione che passano attraverso la musica. E che hanno una probabile origine universale, che permette le successive sfumature tipiche e individuanti di ogni cultura. Un passo in più verso una comprensione dei meccanismi di base della psicologia umana che attraversano il mondo. Viva la musica che unisce.