La rabbia: l’emozione temuta in terapia
La rabbia: l’emozione temuta in terapia
Questo non è il primo articolo che scrivo riguardo le emozioni e, soprattutto, la rabbia. Spulciando tra i vari lavori divulgativi, nei principali programmi di life skills e di educazione alle emozioni per bambini, adulti e adolescenti, viene posto molto accento sul tema della gestione della rabbia.
L’aspetto comportamentale correlato alla rabbia, infatti, porta con sé l’idea di attacco. Rossore, sguardo e postura di minaccia fino, nei casi più estremi, ad arrivare ad un’aperta aggressività. Vengono usati termini quali “scoppi”, “scatti”, “esplosioni” di ira. Tali parole, come qualsiasi fenomeno improvviso e dirompente, richiamano l’idea di qualcosa di spaventoso che va arginato, gestito. Rabbia è minaccia di conflitto e, in quanto tale, va gestita.
In una interessante supervisione a cui ho partecipato di recente, il supervisore sottolineava di come anche in terapia la rabbia del paziente sia un tasto dolente per il terapeuta. La reazione, nella relazione, è quella di timore. Ha inizio così una corsa ad applicare strategie per arginare, gestire appunto. Tutto ciò, rischia di spostare l’accento da un punto che, per le altre emozioni, risulta più facile ed immediato. La rabbia infatti, prima di essere gestita, va innanzitutto capita. Molto banalmente, cos’è che ti fa arrabbiare tanto?
Questa importantissima emozione ci comunica che il paziente sente di aver subito o di aver assistito ad una grave ingiustizia. Possiamo quindi solo immaginare quale dolore e torto subito possa celarsi dietro una dimensione così esplosiva. Spesso, il paziente non ha nel proprio vocabolario le parole per descrivere tutto ciò, ed è innanzitutto qui che la curiosità e l’attenzione empatica del terapeuta deve posarsi. In un movimento di connessione con ciò che altro non è dolore, del paziente.
Come possiamo infatti gestire, prima ancora di capire?