Emozioni negative: esistono davvero?

Tutti noi siamo abituati a riconoscere due tipi di emozioni: quelle positive, da ricercare, e quelle negative, da evitare o allontanare. Ma le emozioni negative esistono davvero?

M. è fortemente spaventata dalla rabbia. Per lei è un’emozione che proprio non può essere provata. <<Porta solo conflitto. Non si risolve niente. Ci urliamo solo addosso e, alla fine, non otteniamo nulla. Se invece riuscissimo tutti a dialogare e ragionare, le guerre non esisterebbero>>.

Nell’utopico mondo pacifico di M. non ci sono emozioni dolorose. Regna il predominio dell’intelletto e, nel tempo libero, si cercano eventi giocosi e divertenti, in compagnia. Il problema è che, nel mondo di M., ad un certo punto, allontanare le emozioni “negative” ha significato allontanarsi da ogni emozione, non provando più nulla.

<<Vorrei portare un nuovo tema oggi>> mi dice in seduta <<Ho la sensazione di compiacere tutti i miei amici e di rinunciare sempre a ciò che, alla fine, vorrei io>>. Lavoriamo, quindi, sulla funzione della rabbia.

È vero, la rabbia genera conflitto, rancore, dolore, sensazioni corporee spiacevoli. Ma che cosa fa per noi? Perché è un’emozione primaria e ancestrale a cui siamo, da sempre, così legati?

“La rabbia influenza le nostre risposte a ciò che ostacola obiettivi o attività importanti o che sta per minacciare noi o qualcuno che ci sta a cuore (Lemerise, Dodge, 2008).” Leggo, solo per citare una delle tante funzioni biologiche presenti in letteratura che evidenziano in questa emozione una funzione di controllo, difesa e padronanza del sé.

Per dirlo in altri termini, la rabbia permette di dire, nella relazione, “io ci sono”. Ci sono, con la mia persona, la mia individualità e i miei bisogni. E tu, ora, non mi stai vedendo. E, quindi, io mi arrabbio, e te lo comunico.

Con M. lavoriamo su questo. Sulla possibilità di dire che ci siamo e che vorremmo essere visti. Che ci sentiamo degni di essere guardati e rispettati. E, alla fine della seduta, la rabbia non è poi più così male.