LA TEORIA DEI NUDGE

di Beatrice Brambilla

LA TEORIA DEI NUDGE

Introduzione

I m o d e l l i e c o n o m i c i neoclassici che descrivono l ’ u o m o c o m e u n massimizzatore di utilità personale e gli attribuiscono una razionalità illimitata sono stati ormai superati grazie allo s v i l u p p o d i una nuova disciplina definita psicologia economica (Kanheman & Tversky, 1974). Essa ritiene che in numerose situazioni economiche l’essere umano sia interessato anche al benessere altrui e non sia in g r a d o d i t e n e r e i n c o n s i d e r a z i o n e t u t t e l e informazioni disponibili. Parte, quindi, dal presupposto che l ’ i n d i v i d u o c o m p i a sistematicamente degli errori e non sia in grado di prendere le decisioni migliori possibili (Kanheman & Tversky, 1974). A questo scopo sono state studiate le aree in cui il processo decisionale umano fallisce in modo tale da creare degli interventi (chiamati nudge), che lo aiutino a colmare il divario tra le sue intenzioni a comportarsi in un determinato modo e l’effettivo comportamento messo in atto. Tal i pol i t iche di nudging agiscono a livello inconscio sfruttando o contrastando i limiti della mente umana, ma allo stesso tempo mantenendo intatta l’autonomia individuale (Thaler & Sustein, 2008). Esse stanno avendo un grande successo nei campi della politica, degli investimenti, dei r i s p a rmi e d e l l a s a l u t e pubblica grazie alla loro semplice applicazione e ai ridotti costi economici, che non precludono l’efficacia in termini di risultati. In questo articolo, verranno esaminati i diversi limiti della mente umana, con i loro potenziali rischi nel processo decisionale e saranno poi approfondite le diverse strategie di nudging con i relativi punti di forza e criticità.

2. Aree di fallibilità degli esseri umani

I numerosi studi di psicologia economica hanno dimostrato che le scelte degli esseri umani sono influenzate in modi che non sono spiegati dal paradigma economico neoclassico. Gli uomini sono soggetti a numerosi limiti cognitivi, che spesso non permettono loro di prendere le decisioni migliori. Tversky e Kahneman (1974) hanno identificato tre “scorciatoie mentali” messe in atto dagli esseri umani, con le relative distorsioni cognitive. La prima è l’euristica dell’ancoraggio, definita come la tendenza ad affidarsi in modo eccessivo alla prima informazione ricevuta; una volta impostato il valore di un’ancora, tutti i giudizi successivi vengono discussi in base a essa. È possibile, quindi, influenzare la scelta di una persona in una p a r t i c o l a r e s i t u a z i o n e suggerendo un punto di inizio per il suo processo decisionale (Thaler & Sustein, 2008). La seconda consiste nell’euristica della disponibilità, che si verifica quando si tende a stimare la probabilità di un evento sulla base della facilità con cui esso viene ricordato e d e l l e emozioni che ha suscitato: l’uomo tende a pensare che eventi che ricorda meglio siano accaduti più frequentemente nel passato e p o s s a n o a c c a d e r e p i ù facilmente in futuro, rispetto a q u e l l i c h e s o n o meno accessibili. Gli Umani, inoltre, tendono a dare maggior importanza alle informazioni più recenti perché più vivide nella loro memoria. (Thaler & Sustein, 2008). Non viene fatta, quindi, una stima di probabilità oggettiva prevista dai modelli economici. Infine, gli uomini sono influenzati anche dall’euristica della rappresentatività, la quale sfrutta la somiglianza tra oggetti ed eventi rispetto a una categoria di riferimento per fare stime di probabilità. A volte questo metodo di ragionamento risulta essere molto efficace in quanto rapido, ma spesso può condurre a giudizi sbagliati: il ricorso a tale euristica, infatti, può portare a vedere pattern ricorrenti anche quando non sono present i (Thaler & Sustein, 2008). Queste non sono le uniche distorsioni cognitive legate al processo decisionale umano, ma ne sono state individuate tante altre. Singler (2018) ha teorizzato l’esistenza di molti “ b i a s c o g n i t i v i ” c h e influenzano il comportamento e le decisioni degli esseri u m a n i , p r e n d e n d o i n considerazione le relative conseguenze associate al mondo lavorativo. Nel suo libro, l’autore riporta una revisione della letteratura esistente su questo tema, citando gli studi di numerosi r i c e r c a t o r i che trovano conferma negli scritti di Thaler e Sustein (2008). Oltre all’uso delle euristiche, gli uomini n u t r o n o u n e c c e s s i v o ottimismo e fiducia nelle proprie capacità, il quale spiega la ragione per cui un individuo si espone al rischio, anche quando, così facendo, mette in pericolo la propria vita e salute (Thaler & Sustein, 2008). Una delle sue influenze negative più consistenti è legata al concetto di “errore progettuale” elaborato da K a n h e m a n ( 1 9 7 9 ) : i n particolare chi si considera esperto in un determinato campo sopravvaluta le sue competenze e ritiene i suoi progetti migliori e più efficaci rispetto a quelli dei suoi colleghi. Nel mondo degli affari contemporaneo, essendo ormai la maggior parte dei lavoratori tenuta ad essere esperta in una specifica area di competenza, tutti sono potenzialmente influenzabili da questo pregiudizio (Singler, 2018). Secondo Kahneman (2011) l’eccesso di fiducia è molto pericoloso perché riduce la vigilanza di fronte al pericolo, creando l’illusione di poterlo affrontare. Un’altra potenziale fonte di errore riportata da Singler (2018) è il “bias di conferma”, definito come la tendenza inconscia a selezionare, interpretare e memorizzare le informazioni in modo tale da confermare le proprie idee iniziali su un dato argomento. Esso è un potenziale rischio sia di fronte a decisioni strategiche nel contesto aziendale sia di fronte a quelle quotidiane p e r c h é d i s i n c e n t i v a i l confronto e la cooperazione con altri colleghi, facendo credere all’individuo che le proprie scelte siano migliori perchè frutto di un’attenta e o b i e t t i v a a n a l i s i d e l l a situazione (Lord, Ross & Lepper, 1979; Singler, 2018). Un altro pregiudizio comune a tutti uomini è il “possession bias”, che fa riferimento all’effetto dotazione, già citato nel paragrafo precedente, secondo cui possedere un oggetto crea un legame emotivo che comporta un cambiamento della percezione del suo valore (Kanheman, Knetsch, & Thaler, 1990; Singler, 2018). L’influenza di questo pregiudizio può essere molto pericolosa nei settori di vendita. Tale distorsione non si limita solamente agli oggetti, ma anche alle proprie idee: l’uomo, infatti, non giudica le proprie intuizioni in maniera obiettiva, ma le percepisce con un filtro positivo che ne migliora il valore. In ambito l a v o r a t i v o , e s s o p u ò c o m p o r t a r e a l c u n e p r o b l e m a t i c h e n e l l e discussioni all’interno di gruppi in quanto ogni persona, infatti, è portata a difendere le proprie idee non perché oggettivamente migliori, ma semplicemente perché frutto del proprio ragionamento. Questo rischio risulta ancora maggiore nelle figure di leader aziendali, i quali possono provare a imporre la propria idea sugli a l t r i colleghi creando un cattivo clima lavorativo (Singler, 2018). Un’ulteriore importante fonte di errore è il “present bias”, che può essere spiegato facendo riferimento alla teoria dello sconto iperbolico già nominata precedentemente: esso è legato alla tendenza a sopravvalutare le ricompense immediate, attribuendo minor valore alle conseguenze a lungo termine (Fudenburg & Levine, 2006). Nel contesto aziendale, può rivelarsi dannoso soprattutto nel campo degli investimenti perché i manager sono portati a p r e n d e r e d e c i s i o n i sopravvalutando l’interesse a breve termine della società p i u t t o s t o c h e l e s u e prospettive nel lungo termine (Kotter, 1996). Gli esseri umani, inoltre, tendono a rifiutare una scelta che include il rischio di perdita, piuttosto che tentare la fortuna per un guadagno e q u i v a l e n t e . L’avversione alla perdita è un altro potenziale pericolo che colpisce l’uomo perché tende a produrre inerzia (Kanheman & Tversky, 1984; Thaler & Sus tein, 2008) . Ques t a distorsione esiste perché le emozioni negative associate alla perdita di un oggetto sono più forti rispetto a quelle positive sperimentate in caso di una vincita (Singler, 2018). Può risultare problematico nel contesto organizzativo perché gli individui si dimostrano poco propensi all’innovazione, alla quale associano l’idea di pericolo. In questo modo, però, nasce un’azienda che non è in grado di evolversi e corre il rischio di fallire. L’avversione al la perdi ta diventa ancora più dannosa, se associata con la distorsione verso lo status quo, definita come la tendenza dell’uomo a rimanere nelle situazioni in cui si trova, indipendentemente dai benefici oggettivi di tali condizioni r i s p e t t o a l l e p o s s i b i l i a l t e r n a t i v e (Samuelson & Zeckhauser, 1988; Singler, 2018). Tra i fattori che determinano questo pregiudizio e ne aumentano l ’ i n fl u e n z a s i r i s c o n t r a l’avversione al rischio, in quanto la situazione attuale è vista come base sicura e famigliare, mentre le opzioni che portano al cambiamento sono considerate rischiose perché sconosciute. Si preferisce lo status quo anche perché ha un vantaggio emotivo ed è collegato a un sentimento di coerenza con le decisioni precedenti, che viene a m a n c a r e q u a n d o s i prendono scelte diverse. Non cambiare può rassicurare psicologicamente i decisori sul fatto che le loro scelte passate siano state giuste (Singler & A r i e l y, 2018). Infine, i l cambiamento implica anche un costo cognitivo elevato, mentre mantenersi nella stessa situazione richiede meno e n e r g i e e s f o r z i (Hartman, Doane & Woo, 1991; Singler, 2018). La distorsione verso lo status quo è legata anche al semplice effetto dell’esposizione: più l’uomo è esposto a certi oggetti/luoghi/persone più sviluppa una preferenza per essi (Zajonc, 1968; Thaler & Sustein, 2008). Come sarà spiegato n e l paragrafo successivo, i l nudge più potente che può sfruttare l’avversione alle perdite e la mancanza di attenzione è l’opzione di default (Thaler & S u s t e i n , 2 0 0 8 ) . I n fi n e , un’ultima fonte di errore che deriva dal paradigma cognitivo è “l’effetto framing”, secondo il quale le scelte delle persone dipendono in parte dal modo in cui le situazioni vengono presentate (Thaler & Sustein, 2008). Nel processo decisionale umano possono intervenire anche aspetti provenienti dal paradigma della psicologia sociale. Il più importante tra questi è l’influenza sociale, la q u a l e p r o v o c a u n c a m b i a m e n t o comportamentale che deriva d a c i ò c h e a c c a d e nell’ambiente circostante. Thaler e Sustein (2008) p a r l a n o d i i n fl u e n z a informativa, quando g l i individui ricavano informazioni utili su come modulare il loro comportamento sulla base dell’osservazione delle azioni altrui. Non esiste, però, solamente questo tipo di i n fl u e n z a , ma u n ’ a l t r a altrettanto potente è quella che deriva dalla pressione dei pari: spesso le persone “si adeguano alla massa” per evitare il rifiuto o per ottenere l’approvazione. Il conformismo nasce, quindi, dal bisogno di affiliazione che caratterizza tutti gli esseri umani. Inoltre, Lawson (2010) ha teorizzato il fenomeno dell’effetto spotlight, secondo cui le persone si impegnano nel seguire le convenzioni sociali e le mode perché convinte che gli altri prestano molta attenzione a ciò che fanno; in realtà si tratta di una credenza errata perché gli individui fanno molto meno caso al comportamento e all’aspetto altrui rispetto a quanto si crede (Gilovich, Medvec & Savitsky, 2000; Thaler & Sustein, 2008). Un’ultima influenza sociale individuata da Thaler e Sustein (2008) è il priming, dal quale emerge che un piccolo stimolo può innescare un comportamento inconsapevole e aiutare a ricordare certe informazioni con maggior facilità (Ilieva & Drakulevski, 2018). Conoscere le diverse aree di fallibilità degli esseri umani risulta molto utile per poter programmare degli interventi basati sulle intuizioni della psicologia economica. Nel paragrafo successivo viene esplorato il concetto di nudge e i suoi possibili campi di applicazione.

3. La teoria dei nudge

Un nudge è una spinta gentile, cioè qualsiasi aspetto dell’architettura delle scelte che altera il comportamento degli individui in maniera prevedibile, senza proibire alcuna opzione o modificare in misura significativa gli incentivi economici” (Thaler & Sustein, 2008, p. 12). I due premi Nobel, Thaler e Sustein, partono dal presupposto che in alcune situazioni gli individui facciano scelte sbagliate, le quali potrebbero cambiare se essi avessero informazioni complete, capacità cognitive illimitate e nessuna mancanza di forza di volontà. Introducono così il concetto di paternalismo l i b e r t a r i o : un nudge è un’azione paternalistica in quanto selezionata con l’obiettivo di influenzare le scelte degli umani in modo da renderle migliori, ma allo stesso tempo libertaria perché non vi è nessuna coercizione e preservano l’autonomia individuale. Creare un pungolo significa ristrutturare l’architettura delle s c e l t e , cioè l o “spazio cognitivo” entro cui gli uomini prendono decisioni, in modo tale da stimolare i meccanismi p s i c o l o g i c i s p i e g a t i precedentemente, che sono noti influenzare le scelte delle persone (Thaler & Sustein, 2008). Si considera un nudge qualsiasi elemento che incida in maniera r i levante sul comportamento degli Umani, ma che viene ignorato dagli Econi. La base teorica su cui si fondono i nudge, quindi, è il fatto che l’essere umano sia fallibile. L’archi tet to del le scel te dovrebbe impegnarsi nel creare dei pungoli che hanno la massima probabilità di essere efficaci e la minima probabilità di essere dannosi. Per questo è stato introdotto il concetto di paternalismo asimmetrico, secondo cui è necessario creare misure volte ad aiutare gli individui meno sofisticati, ma allo stesso tempo procurare il minor danno possibile a tutti gli altri (Camerer, I s s a c h a r o f f , Lowestein, O’Donoghue & Rabin, 2003; Thaler & Sustein, 2008). Thaler e Sustein (2008) hanno individuato diverse occasioni che si prestano per un intervento di nudging: è utile implementarlo tutte le volte che le decisioni mettono a dura prova le capacità di autocontrollo degli esseri umani, soprattutto quando sono evidenti i benefici immediati, ma non i costi e le conseguenze nel lungo t e r m i n e ; o p p u r e n e l l e situazioni complesse che si i n c o n t r a n o p o c o frequentemente nella vita, per cui non si riesce fare pratica o in tutte le circostanze in cui non si hanno dei riscontri immediati; infine risulta efficace in tutti i contesti in cui è di f fi c i l e immaginar e i possibili esiti di un’azione. Non esiste una tassonomia precisa di nudge, ma Thaler e Sustein (2008) illustrano quali secondo loro dovrebbero essere i principi di fondo per una buona architettura delle scelte. È possibile identificare una prima categorizzazione:

  1. Incentivi: i rinforzi sono definiti come stimoli che p o s s o n o a t t i v a r e , intensificare o motivare un d e t e r m i n a t o comportamento. Per la teoria economica classica l’uomo dovrebbe essere sensibile solo agli incentivi monetari, ma in realtà non è così perché gli Umani risultano influenzabili anche da altri tipi di stimoli.
  2. C o m p r e n d e r e le mappature: questo tipo di strategie funziona non tanto sollecitando le distorsioni cognitive del sistema 1, quanto fornendo e chiarendo informazioni per il sistema 2. In questo modo i pungoli aiutano gli individui a “mappare” le decisioni e a rendere le opzioni più confrontabili tra di loro.
  3. Default: l’opzione predefinita risulta essere molto vantaggiosa perchè sfrutta l’inerzia delle persone in quanto implica un minor sforzo cognitivo, può fungere da punto di riferimento/ancora che può trasformare tutte le altre scelte come una perdita o p p u r e p u ò e s s e r e c o n s i d e r a t a c o m e raccomandazione di un esperto.
  4. Dare feedback: dare dei riscontri circa i propri comportamenti risulta molto efficace, soprattutto nelle occasioni in cui si sta per commettere un errore.
  5. Mettere in conto l’errore: b i s o g n a p a r t i r e d a l presupposto che l’essere umano possa commettere errori in quanto non agisce in maniera perfettamente razionale. Un tipico errore è q u e l l o d i “ p o s t – completamento”, secondo cui quando si porta a t e r m i n e i l c o m p i t o principale, si tende a dimenticare gli aspetti più secondari.
  6. Strutturare le scelte complesse: nel processo decisionale, le persone usano strategie diverse a seconda del numero e della complessità delle a l t e r n a t i v e . Quando l’insieme delle possibili scelte è molto vasto può essere problematico: Tversky (1972) propone un i n t e r v e n t o d e fi n i t o “eliminazione per aspetti”, in cui vengono decise quali siano le caratteristiche più importanti e viene stabilita una s o g l i a massima e l i m i n a n d o t u t t e l e a l t e r n a t i v e c h e non s o d d i s f a n o q u e s t i p a r a m e t r i . Un a l t r o possibile intervento è c h i a m a t o “ fi l t r a g g i o collaborativo”, che parte dal presupposto che sapendo cosa è piaciuto alle persone con gusti simili ai propri, gli uomini si sentono più sicuri nello scegliere un prodotto che non si conosce (Thaler & Sustein, 2008).

Nonostante la loro grande efficacia, le politiche di nudging presentano alcune criticità, soprattutto sul piano metodologico e su quello etico. Per quanto riguarda il primo aspetto, un potenziale rischio è quello di credere che gli individui agiscano allo stesso modo di fronte alle medesime situazioni: non essendo c o s ì , è molto importante che i nudge v e n g a n o p r o g e t t a t i i n relazione ai contesti in cui vengono inseriti (Arnett, 2008). Per quanto riguarda il versante etico, invece, i pungoli possono essere sfruttati erroneamente per obiettivi di consumo. Sustein (2016) ha proposto quattro criteri per valutare l’eticità di questi interventi: per prima cosa, un nudge deve promuovere solamente il benessere delle persone (individuale/sociale/ collettivo); in secondo luogo, deve rispettare l’autonomia individuale e la libertà di scelta; non deve ledere la dignità delle persone; e infine, deve essere coerente con l’orientamento politico dei cittadini, in quanto non avrebbe senso implementare un nudge, a cui si opporrebbe l a ma g g i o r p a r t e d e l l e persone.

4. Conclusioni

Le scoperte della psicologia e c o n o m i c a h a n n o rivoluzionato la vita di tutti gli uomini. Non si parte più dal presupposto che gli esseri umani siano egoisti razionali, in grado di massimizzare la propria utilità personale e di prendere decisioni perfette, ma si introduce l’idea che siano individui fallibili, che compiono sistematicamente errori e soggetti a numerose d i s t o r s i o n i c o g n i t i v e (Kanheman & Tversky, 1974). Ed è proprio a partire da queste premesse che è stato possibile sviluppare diverse tecniche di nudging: esse nascono come interventi che sfruttano o contrastano i limiti della mente per aiutare gli uomini a trasformare le loro intenzioni in comportamenti effettivi, senza compromettere la libertà di scelta (Thaler & Sustein, 2008). La letteratura presente si trova in accordo nel definire tali politiche molto c o n v e n i e n t i p e r c h é economiche e semplici da applicare, ma con un’efficacia di r isul tat i mol to al ta. È essenziale, però, ricordare che g l i esseri umani non si comportano allo stesso modo se inseriti nelle medesime situazioni; quindi, i nudge devono essere progettati a partire dal contesto in cui li si vuole applicare. Inoltre, dal punto di vista etico un nudge per essere tale non può essere usato per obiettivi di consumo, ma solamente per incrementare il benessere personale i n t e s o come individuale o sociale/collettivo.

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