Lasciar andare il passato
Lasciar andare ciò che si è perduto fa parte della crescita ed è indispensabile per la propria salute e realizzazione.
Ogni psicoterapia comprende un lavoro di separazione dal passato. In generale, un lasciar andare modi di pensare, sentire e agire non più adatti a rispondere ai bisogni del presente. Più nello specifico, un processo di elaborazione di esperienze significative non risolte. Un separarsi da qualcosa che è stato e che non è più.
Lasciar andare vuol dire crescere. Abbandonare gli attaccamenti per stare in contatto con il momento presente. Ovvero, riconoscere e accogliere la realtà, poiché non esiste alcuna realtà al di fuori di ciò che stiamo vivendo ora. Può far paura, può essere vissuto come qualcosa di intollerabile. Persino quando il passato è stato insoddisfacente o traumatico. Si tratta di affrontare il dolore della perdita, di dire addio a ciò che è perduto per sempre o, anche, di “rinunciare alla speranza di un passato migliore”, usando le parole di Yalom. Il passato rassicura, perché lo conosciamo. Ci è familiare e tutto ciò che è familiare dà un senso di (illusoria) protezione.
La trappola dei ricordi
I ricordi possono oscurare il presente ed intrappolare l’esistenza nella ripetizione di qualcosa che è tenuto in vita nonostante non esista più. Il rifugio nel passato assume forme estreme nella passività e nella depressione. Il tempo arriva ad essere percepito come una interminabile e stagnante esperienza, svuotata di vitalità e speranza per il futuro.
Quando il passato non viene storicizzato, la persona vive in una realtà falsamente presente. Spesso pensa, sente, fantastica, agisce nel tentativo di recuperare il passato. Si illude di avere un controllo e un potere su quanto non può essere modificato. Altre volte, invece, “semplicemente” vive – e rivive – il suo passato come un paradiso perduto o un tragico destino. Come recitano alcuni versi di Emily Dickinson:
"E’ una curiosa creatura il passato Ed a guardarlo in viso Si può approdare all’estasi O alla disperazione".
La malinconia e il senso di mancanza
Vivere nei ricordi è vivere nella malinconia. Nella mancanza. Ci si sente frustrati, sofferenti, poiché si desidera qualcosa che non si può avere. Alcuni caratteri sono inclini alla malinconia. Tendono a ricercarla, a ricercare e amplificare questo senso di carenza, che diventa una costante. E’ un modo di manipolare l’altro, mostrandosi richiedenti e bisognosi, per restare dipendenti. Un desiderare senza poter godere né raggiungere gratificazione che può portare a forme di vittimismo masochistico. “La malinconia non è una tristezza qualsiasi, è la felicità d’essere tristi”, affermava Victor Hugo. Non si tratta di un essere tristi specifico ma di un atteggiamento esistenziale che, non legandosi a nessun evento in particolare, appare insanabile. Assume il volto inconsolabile di chi desidera la propria felicità tanto quanto la ricaccia.
Vivere nel passato come blocco del processo evolutivo
Chi vive nel passato sta evitando di affrontare il presente, di vivere pienamente. Non vuole lasciare andare i vantaggi della posizione dipendente e vittimistica. Non è disposto a ritirare la richiesta di accudimento e l’accusa che rivolge all’esterno, per assumersi la responsabilità di se stesso, di ciò che è in suo potere cambiare. E’ bloccato nel proprio processo evolutivo e realizzativo. Da un lato la perdita, che riguarda il lasciar andare il familiare, ciò che rassicura, dall’altro lato la paura di confrontarsi con quanto teme, di aprirsi al nuovo ed affrontare i rischi che la vita e la crescita comportano.