L’atto creativo tra Neuroscienze e Psicologia

di Scilla Esposito

L’atto creativo è unico e irripetibile, viviamo inconsapevolmente e costantemente come fossimo un’ “opera d’arte”, il nostro corpo relazionale interagisce più o meno consapevolmente, con altri corpi e in questo spazio di incontro si crea un vero e proprio linguaggio collettivo comune, dove lo scambio relazionale diventa legame produttivo,
abbiamo, solo bisogno di rendercene conto, per diventare consapevoli di quanta potenza trasformativa ed aggregativa abbiamo a disposizione, proviamo ad ascoltare i nostri bisogni, accogliendo con slancio quella quota di originalità, imprevedibilità e unicità, necessarie per la nostra integrità.
Fare arte è un esigenza essenziale per la sopravvivenza della nostra specie, ad oggi sono molte le ricerche scientifiche che individuano nell’incapacità creativa dell’uomo di Neanderthal una possibile motivazione della sua estinzione, a differenza del nostro antenato l’uomo di Cro-Magnon che ha saputo considerarla ed utilizzarla proprio come un vantaggio evolutivo, sopravvivendo, anche grazie ad essa e restando al passo con i grandi cambiamenti ambientali, proprio in virtù di questo potente adattamento creativo.
Un interessante ricerca pubblicata sul “Scientific Reports” da Hiroki, secondo lo studio congiunto della Nagoya University e dell’Università di Tokio, in Giappone, ha concluso che tra le due specie esistevano significative differenze neuroanatomiche, Homo sapiens ha saputo adattarsi all’ambiente in maniera più flessibile, il suo cervello era dotato di una morfologia cerebrale diversa e più ampia nei correlati occipitali, strutture deputate alla comprensione e la produzione del linguaggio, della memoria di lavoro e della flessibilità
cognitiva. Tale condizione lascia dedurre che il pensiero creativo, gli insight trasformativi, l’arte del saper creare, abbiano in qualche modo giocato un ruolo determinante, tra le relazioni evolutive umane della specie, offrendo così una opportunità, adattativa superiore all’ambiente, alimentando occasioni di stimolazioni cognitive e condizioni di vissuti emotivi preziosi. La motivazione neurofisiologica strutturale, che spinge le persone a fare esperienza
d’arte, si relativizza in una modalità di funzionamento specie specifica, in cui il paradigma scientifico delle neuroscienze porta la sua parte, chiaramente ciò non è sufficiente e quindi il paradigma delle scienze psicologiche aggiunge criteri, contenuti e prospettive, le due anime scientifiche si sostanziano con reciprocità, diventando
irriducibili l’una all’altra, nonostante siano radicalmente diverse, in quanto la prima tende a comprendere i processi biologici nelle esperienze, la seconda tenta di spiegare e comprendere la realtà dell’esperienza vissuta; l’interconnessione tra biologia, cognizione ed emozioni completano la comprensione dell’esperienza creativa, in cui il nostro “sentire”, viene totalmente travolto dalla situazione. La neurobiologia permette di indagare i meccanismi cerebrali responsabili di ciò che proviamo osservando una creazione d’arte o ascoltando una sinfonia musicale, l’attività metabolica delle regioni orbito frontali e l’aumento dell’attività elettrica della corteccia dorsolaterale sinistra sono osservabili attraverso immagini strumentali che abbiamo le neuroscienze ci mettono disposizione.
Gli anni 90 sono stati anni di intensa ricerca neurofisiologica, il team Neuroscientifico di Parma di Rizzolati e Gallese individuò nell’area di Broca e nelle Corteccia parietale inferiore dei neuroni chiamati a specchio abilitati alla capacità di relazionarci con gli altri, la scoperta è probabilmente una delle più importante del XX secolo. Quando osserviamo un’azione compiuta da altri, ne apprendiamo le modalità empaticamente, proprio come fossimo noi stessi a compiere il gesto, ne apprendiamo il processo motorio, cogliamo i significati empatici, e mentalizziamo attraverso
l’esperienza il vissuto emozionale altrui. Secondo Vittorio Gallese infatti “percepire un’azione e comprenderne il significato, equivale a simularla internamente”. In questo processo neurofisiologico definito dal neuroscienziato “simulazione incarnata”, sono coinvolti i correlati celebrali dell’insula, il giro cingolato e l’amigdala aree implicate anche nell’esperienza emozionale, per quanto riguarda l’azione e l’osservazione dei gesti e dei processi motori, le porzione strutturali implicate sono quella rostrale anteriore, del lobo parietale inferiore, il settore inferiore del giro pre-centrale, la parte posteriore del giro frontale inferiore, in alcuni esperimenti si osservano attività anche in un’area anteriore del giro frontale inferiore, nella corteccia pre-motoria dorsale. La Psicologia da sempre si interessa di emozioni, ad oggi il dibattito è ancora aperto, non essendo ancora giunti ad una definizione univoca di come e dove nascono, sappiamo che il vissuto percepito della reazione ad uno stimolo, sia esso reale, sia esso
immaginario è caratterizzato da aspetti fisiologici e da aspetti cognitivi, che producono risposte intense e di breve durata, ma chiaramente non è totalmente sufficiente per la comprensione della loro natura.
Il paradigma della dott.ssa Lisa Feldman Barrett ipotizza che siano un processo cocostruito in base alla cultura in cui viviamo, un processo in cui la determinazione dell’ intelligenza emotiva è fondamentale, in quanto sembrerebbe possibile riconoscere quale emozione si adatti meglio alla situazione attualizzata, per poi poterla creare, utilizzando i processi fisiologici a disposizione, in pratica più il numero delle emozioni riconosciute è alto più la possibilità di funzionare meglio abbiamo, tale capacità viene chiamata “granularità emotiva”, competenza che consente anche la capacità di mentalizzazione delle emozioni altrui. In sostanza, secondo la Barrett la “teoria dell’emozione costruita”, consente al cervello umano di essere predittivo relativamente all’esperienza, in quanto nel corso della nostra interazione con l’ambiente, abbiamo incorporato dei concetti che utilizziamo per intuire i futuri input sensoriali provenienti dal mondo e dal corpo categorizzandoli, creando esperienze significative, definite “concettualizzazioni situate” ossia fenomeni dinamici sensibili al contesto e all’ambiente. In altre parole, il nostro cervello costruisce categorizzazioni, di istanze emotive sulla base di conoscenze concettuali incarnate in precedenza, apprese grazie alle nostre esperienze immersive con l’ambiente. Grazie a queste conoscenze possiamo comprendere meglio quanto l’esigenza di creare, sia necessaria e insita in ogni individuo, è un vero proprio bisogno primario di realizzazione del sé, favorisce l’accrescimento dell’identità, sviluppando parti autentiche, coltivando le proprie aspettative essenziali, legate alla necessità di auto realizzazione attraverso la mediazione creativa. Attraverso l’atto creativo, grazie al gesto corporeo, alla fusione con le forme della materia, con i colori vivi e gli odori delle esperienze d’arte è possibile tuffarsi in un vissuto d’arte incarnata, in cui sentire, odorare, vedere, toccare, le emozioni diventa possibile, producendo occasioni potenti, al di là dei limiti generazionali, diventando occasione trasformativa e riparativa, una possibilità da cui partire, da cui ricominciare, una vera e propria opportunità evolutiva, uno spazio di realizzazione del possibile, una modalità di accudimento, di incontro a cui affidarsi, dove ci si sente riconosciuti, visti e rispecchiati, nel quale si può trovare la strada della differenziazione, lo svincolo relazionale, la via dell’indipendenza.

Bibliografia


“Come sono fatte le emozioni. La vita segreta del cervello” di Lisa Feldman Barret
“La visione dall’interno. Arte e cervello” di Semir Zeki, P. Pagli
“Un cervello diverso. E homo sapiens prese il sopravvento” “Scientific Reports” di Hiroki