Le origini del sorriso: una mini storia dell’umanità?

Le origini del sorriso: una mini storia dell’umanità?

In un periodo così lungo di incertezze, sofferenze e autentiche tragedie, fa bene ricordare gli aspetti positivi connaturati alla nostra specie. Oggi parliamo di sorrisi e del potere che li rende muscolosissimi fattori di protezione per il nostro benessere psichico e per la nostra salute.

Il sorriso è presente fin dagli ultimi stadi di sviluppo di un nascituro nel grembo materno, come evidente nelle immagini ottenute con tecnologia a ultrasuoni 3D in recenti ricerche. Sorridere è una delle facoltà di base, una predisposizione biologica dell’essere umano. I bambini iniziano molto presto a sorridere e sono i maggiori produttori di sorriso di tutte le età.

Il sorriso è sia espressione di uno stato interno sia un formidabile acceleratore di relazione, ricco di significati e di conseguenze sociali.

Secondo Paul Ekman, uno dei maggiori ricercatori al mondo per lo studio delle espressioni facciali, il sorriso è sempre un modo per esprimere gioia e soddisfazione, in tutte le culture e a tutte le latitudini; un segno universale interpretato ovunque in modo analogo, sia che si tratti di persone appartenenti a mondi sviluppati o di membri di tribù che vivono in ambienti primitivi e lontani da noi, con interazioni familiari e sociali molto diverse dalle nostre.

Sorridere è contagioso, abbiamo tutti osservato che sollecita una risposta spontanea, e ha una funzione specifica importantissima nei confronti dell’ interlocutore: è largamente acquisito, in ottica evoluzionista,  che i segnali sociali  – come la “mostra silenziosa dei denti scoperti” – si siano sviluppati per consentire, a chi li invia, di manipolare il comportamento del destinatario.

Ma andiamo un po’ più a fondo, perché i temi della paura, dell’aggressione, della difesa e della collaborazione sono centrali per ogni interpretazione delle vicende umane; dalle interazioni familiari a quelle sociali, dai temi di costruzione di civiltà a quelli di  entrata in guerra; nonostante lo straordinario sviluppo di tecnologie e condizioni di vita, gli esseri umani, dal punto di vista psicologico e relazionale, sono ancora vicini ai loro antenati più lontani.  

Secondo un interessantissimo contributo di Michael S.A. Graziano, pubblicato quest’anno su Cambridge University Press online, il sorriso potrebbe essersi evoluto a partire da comportamenti difensivi. Graziano si chiede come mostrare i denti, che è una minaccia evidente, possa essersi evoluto in un segnale di non aggressività e ipotizza che la domanda sia sbagliata, perché esistono due modi di mostrare i denti: uno aggressivo e uno non aggressivo.

Pensiamo a quando ci facciamo male e il dolore improvviso ci fa contrarre i muscoli del viso in una smorfia di sofferenza: in quel caso, socchiudiamo gli occhi e solleviamo il labbro superiore mostrando leggermente i denti. Per fare un altro esempio: se usciamo da una stanza buia all’aperto e ci troviamo in pieno sole, produrremo una reazione riflessiva chiudendo o socchiudendo gli occhi, le guance incurvate verso l’alto, con conseguente sollevamento del labbro superiore ed esposizione dei denti superiori.

Questa esposizione non ha nulla a che fare con la minaccia. Secondo Graziano, l’espressione facciale di un sorriso forte e genuino assomiglia alle componenti difensive della reazione al sole improvviso qui descritta.

Ora immaginiamo la scena: un incontro tra due scimmie che appartengono allo stesso gruppo sociale, che qui chiameremo Andy e Benny. Benny si fa molto vicino a Andy, lo minaccia apertamente e in questo modo innesca una reazione di difesa in Andy, che ha paura ed è meno propenso a lottare e più orientato a fuggire.  Il comportamento difensivo di Andy svolge il ruolo di stimolo iniziale, da cui può evolvere un segnale sociale.

Benny, l’aggressore, è sensibile a un utile segnale ambientale ( la reazione di Andy) e alle informazioni che ne può ottenere per decidere il proprio comportamento. Vedendo che Andy è in notevole stato di stress, potrebbe approfittarne per sferrare l’attacco. Ma in un gruppo sociale, quale quello degli umani o delle scimmie, la collaborazione è importante: se dovesse arrivare una tigre dai denti sciabolati, meglio essere in molti a combatterla che da soli. Quindi, la probabilità che Benny continui l’attacco è molto ridotta. Tutto questo ovviamente non avviene a livello cognitivo cosciente, Benny non pensa “mi conviene lasciar stare Andy per un interesse superiore”: è piuttosto la selezione naturale che ha modellato i sistemi neurali di Benny, in direzione di un’ottimizzazione di azioni e reazioni che consentano un risultato migliore per il gruppo e per la sua sopravvivenza.

Continuiamo con il nostro ragionamento: Benny decide di ridurre o addirittura arrestare il suo comportamento di attacco ad Andy. In questo modo può risparmiare energia e rischi. Anche in questo caso, non c’è una valutazione e una decisione, in cui l’aggressore pensa “non ho bisogno di combattere questo debole”: si tratta di un comportamento riflesso, frutto del modellamento dei sistemi neurali di Benny; una conseguenza della selezione naturale, che opera nell’interesse di Benny, di Andy e di tutto il gruppo.

Per riassumere: la vista di un’ampia reazione difensiva in Andy all’avvicinarsi di Benny, innesca automaticamente una riduzione palese dell’aggressività di Benny. Finora, non c’è alcun segnale sociale: c’è solo un segnale ambientale (la reazione allarmata di Andy) al quale Benny si è evoluto per rispondere.

Ma l’evoluzione consente ad Andy di amplificare il proprio comportamento difensivo, di renderlo più evidente, più clamoroso, più esteso e prolungato, e di farlo anche non in presenza di un Benny che lo minaccia davvero. All’interno di un contesto sociale, il comportamento è come un bottone, che Andy può premere per causare un cambiamento nel suo ambiente per ottenere un vantaggio: la selezione naturale ha fornito ad Andy un meccanismo per generare vantaggi relazionali.

Torniamo al sorriso. È un comportamento che sollecita una distensione preventiva: i destinatari (quando non siamo in ambienti francamente patologici) e i loro sistemi neurali lo interpretano immediatamente e con precisione: possiamo dire che Andy si è evoluto per distribuire ed esagerare uno stimolo (nel nostro caso, alzare il labbro superiore in una smorfia di reazione a un dolore o a una sorgente di luce troppo forte) che avrà un effetto su Benny. Andy può utilizzare, riprodurre e perfezionare questo comportamento, in una sorta di co-evoluzione integrata di azioni e reazioni con altri soggetti sociali. Sorridere darà un vantaggio sociale ad Andy, farà del bene a Benny e farà sentire meglio entrambi; più al sicuro, più protetti, più in situazione di benessere, sia a livello di interazione sia a livello individuale, come quando si sorride tra sé e sé.

Quando sorridiamo ci sentiamo meglio: c’è una produzione di endorfine e una riduzione degli ormoni dello stress, a beneficio della salute mentale e fisica: allenare il sorriso dovrebbe essere una pratica quotidiana. Secondo una ricerca della Penn State University, quando sorridiamo non solo sembriamo più simpatici, gentili, accessibili: sembriamo anche più competenti e capaci.

Forse perché da secoli utilizziamo questo comportamento per disinnescare Benny. E se lo sappiamo fare, siamo davvero bravi.