L’EMOZIONE: QUESTA COMPLESSA E SCONOSCIUTA…

di Antonia Bellucci

L’EMOZIONE: QUESTA COMPLESSA E SCONOSCIUTA…

Siamo certi di sapere cosa siano le emozioni? Nonostante tutti abbiano una propria conoscenza di cosa sia un’emozione, risulta difficile darne una definizione generale poiché il termine “emozione” si riferisce ad un’ampia gamma di risposte. Possiamo provare tristezza durante la visione di un film, imbarazzo di fronte al comportamento di un collega, noia se bloccati nel traffico, paura di essere in ritardo ad un appuntamento, senso di colpa per essersi arrabbiati con un genitore, gioia e sollievo per aver avuto una diagnosi positiva ad una visita medica. Queste emozioni possono essere di media o alta intensità, negative o positive, brevi o di lunga durata, primarie (reazione emotiva iniziale) o secondarie (reazione ad un’emozione primaria).

L’emozione, come rapida reazione che avviene quando l’organismo elabora uno stimolo significativo e consente un adattamento ad un cambiamento, si distingue dall’umore (inteso come stato emotivo diffuso con lento innesco e non legato a specifici oggetti o stimoli), ma anche dall’affetto, che è un costrutto complesso comprendente sia l’emozione che l’umore e riguarda lo stato generale che l’individuo sta sperimentando le sensazioni, piacevoli o spiacevoli, con diversi livelli di intensità, durata e pattern di innesco.

L’emozione si attiva, generalmente, in risposta ad uno stimolo (trigger) o una situazione psicologicamente rilevante, che può essere esterna (es: assistere ad un incidente) oppure interna (es: anticipare un confronto col capo). Secondo le teorie cognitive, l’emozione si innesca quando si vive una situazione che viene valutata sulla base della sua rilevanza rispetto agli scopi dell’individuo. Gli scopi sono rappresentazioni che s i basano sui valori, sul contesto culturale di appartenenza, sulle caratteristiche della situazione attuale, sulle norme sociali, sulla fase di vita e sulla personalità dell’individuo. Proprio in base a ciò, è possibile che due persone che affronta la stessa situazione, avendo diversi scopi attivi, possano prestarvi attenzione e valutare la situazione differentemente. Un esempio per esprimere meglio il concetto: se un professore dice a due allievi “so che potresti fare meglio alla seconda prova rispetto a ciò che è emerso dalla prima” potrebbe sollecitare due reazioni differenti; il primo studente potrebbe sentirsi incoraggiato a fare meglio mentre il secondo potrebbe sentirsi criticato e deprimersi per non essere andato bene.

La differenza nelle reazioni dei due studenti è data dai loro scopi e, quindi dalle successive valutazioni dell’evento; di conseguenza, ne deriva che anche le emozioni positive si attivano quando la persona percepisce di perseguire adeguatamente i propri obiettivi, mentre le emozioni negative possono scaturire quando una situazione viene valutata come un ostacolo ai propri scopi. Così come le cose cambiano nel tempo, sia la persona che la situazione o il significato che l’individuo attribuisce alla situazione, anche le emozioni possono cambiare.

Le componenti di un’emozione, dunque, sono: l’esperienza soggettiva, gli ingredienti cognitivi, la reazione fisiologica o somatica, l’espressione facciale, il comportamento o la tendenza all’azione. Tra queste, le espressioni facciali e l’impulso ad agire sono associati ad alterazioni autonomiche e neuroendocrine anticipano, accompagnano e seguono la risposta comportamentale.

Le componenti sono diverse a seconda del tipo di emozione. Ad esempio, nell’ansia, connessa fortemente allo stile di vita odierno ed alle spinte e richieste della società attuale, è possibile generalmente osservare: un intenso stato di agitazione (esperienza soggettiva), la percezione di una minaccia valutata come grave, imminente e difficilmente affrontabile con le proprie risorse (ingredienti cognitivi), accelerazione del battito cardiaco, modifica del ritmo del respiro, sudorazione, ecc. (reazioni fisiologiche o somatiche), occhi spalancati e sopracciglia elevate (espressione facciale) , tendenza ad evitare o fuggire dalla potenziale minaccia (tendenza all’azione).

Infine, un’altra caratteristica delle emozioni è la loro malleabilità, cioè sono modificabili e transitorie; una volta attivata, la risposta delle emozioni segue il suo naturale decorso. Le emozioni possono irrompere nella nostra esperienza anche indipendentemente dalla nostra consapevolezza e possono anche confliggere con altre risposte alla situazione (es: due emozioni contrapposte).

Umore ed emozioni possono interagire dinamicamente. Le emozioni possono portare a particolari tipi di umore e l’umore può aumentare la probabilità che si attivino determinate emozioni. Attualmente, le scienze affettive vedono umore ed emozioni come due costrutti strettamente interconnessi: l’umore può potenziare o alterare una reazione emotiva. Ad esempio, l’umore irritabile può facilitare una reazione emotiva di rabbia, l’umore ansioso può facilitare il panico o uno stato emotivo di tristezza può sviluppare un umore triste.

Tutti proviamo emozioni ma cambia l’intensità, il tipo di trigger, la frequenza e la soglia di attivazione delle stesse. Non provare emozioni è una condizione patologica. Se questo è vero, in che senso le emozioni sono centrali nella psicopatologia e possono esse stesse essere il sintomo, il segno, di una patologia in corso?

Secondo una prospettiva funzionalista, le emozioni sono risposte importanti dal punto di vista dell’evoluzione perché spesso sono reazioni adattive a problemi o situazioni che si incontrano.

Le teorie attuali sulle emozioni, invece, enfatizzano l’importanza delle stesse nel guidare il comportamento, l’azione e le risposte fisiologiche, nel facilitare il processo di decision-making, nel favorire la memoria di eventi importanti e nella gestione delle interazioni interpersonali. Le emozioni possono essere d’aiuto ma alcune volte possono interferire negativamente sul comportamento, risultando inappropriate al contesto.

Ed allora: se è vero che le emozioni hanno una funzione adattiva che consente all’individuo di autoregolare il proprio comportamento in funzione del raggiungimento di scopi rilevanti, è anche vero che in alcuni casi le emozioni possono diventare un sintomo.

Quando l’emozione può inquadrarsi all’interno della psicopatologia?

Innanzitutto, vi sono emozioni che risultano essere componenti centrali dei disturbi mentali (Depressione maggiore: tristezza, colpa, anedonia; Mania: eccessiva euforia, irritabilità; Schizofrenia: appiattimento affettivo, anedonia; Panico: improvvisa ed intensa reazione di paura; Disturbo ossessivo-compulsivo: senso di colpa, pensieri ansiosi ripetitivi; Disturbo borderline di personalità: instabilità emotiva, attacchi di rabbia; Ipocondria: paura persistente di avere una malattia, ansia).

In altre parole, ogni disturbo è caratterizzato da emozioni che risultano disfunzionali e che possono diventare il sintomo.

Pertanto, l’emozione potrebbe essere appropriata alla valutazione della situazione ma può essere inappropriata la sua intensità o durata nel tempo; l’intensità e la durata possono dipendere da alcuni meccanismi psicopatologici, come ad esempio i tentativi di controllo delle emozioni o la tendenza a valutare negativamente i propri stati emotivi.

A tal proposito, gli individui, al di là delle differenze nella propria specifica vulnerabilità, non posso controllare l’attivazione delle emozioni di base; possono invece avere un controllo intenzionale sull’espressione delle emozioni e possono provare ad attenuare o incrementare un’emozione utilizzando una strategia cognitiva, anche se alcune volte può risultare controproducente (es: la ruminazione).

Altro aspetto che può interessare lo sviluppo psicopatologico e dunque l’intensità e la durata delle emozioni, è il focalizzarsi sull’esperienza emotiva negativa, ragionando sulle cause; ciò può aumentare, mantenere e generalizzare la psicopatologia.

Il ragionamento emozionale è una distorsione cognitiva, cioè un errore del pensiero: è un meccanismo psicologico secondo il quale il soggetto tende ad utilizzare il proprio stato affettivo, più che le evidenze oggettive, quale fonte d’informazione saliente per esprimere valutazioni e giudizi sul mondo. Ad esempio “se non mi risponde al telefono, sicuramente avrà avuto un incidente”: questa valutazione può generare un circolo vizioso per cui lo stato emotivo sarà erroneamente utilizzato per validare pensieri e credenze relative al la presenza di pericoli o catastrofi. Ciò incrementerà lo stato emotivo negativo e determinerà valutazioni più severe della situazione.

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