Mikuzo Kuyo: riflessioni sul rituale nipponico dell’aborto tra psicologia e antropologia culturali

di Lia Corrieri

Mikuzo Kuyo: riflessioni sul rituale nipponico dell’aborto tra psicologia e antropologia culturali

L’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) si è imposta nel dibattito pubblico dell’Occidente come diritto riconosciuto alle donne di abortire. Tale diritto, affermatosi nel nostro paese con la Legge 194/1978, costituisce comunque un tema complesso, scottante, difficile, spesso scomodo, capace di mettere in difficoltà anche gli stessi operatori socio-sanitari (Lalli, 2011).

Peraltro, i recenti avvenimenti Oltreoceano in cui il diritto costituzionalmente sancito a seguito della storica sentenza del caso Roe vs Wade del 1973 (Barlaam, 2022; Galeotti, 2003) all’IVG è stato rimesso in discussione, hanno causato nuove polemiche etico-politiche e l’accendersi del dibattito sullo stato di attuazione della legge italiana in materia. Nello scenario attuale poco spazio sembra essere dedicato ad analisi di natura comparativa tra i diversi paesi e culture relativamente all’aborto e ai suoi significati psicologici e socio-culturali. Tali indagini possono essere di aiuto agli operatori socio-sanitari italiani che spesso si devono confrontare con le storie personali relative alle esperienze di IVG per meglio cogliere il peso e l’importanza delle variabili di contesto di natura psicologica, sociologica e antropologica, variabili spesso trascurate ma decisamente significative anche per la presa in carico delle donne con aborto e in IVG. Tra i fenomeni più interessanti su cui la letteratura scientifica di lingua italiana ha posto l’attenzione è quello del nipponico Mikuzo Kuyo, un rituale d’aborto che è stato indagato da Marianna Zanetta in Bambini d’acqua (2018).

Il termine Mikuzo Kuyo è letteralmente traducibile come “riti per bambini d’acqua”, è la composizione della parola mizuko solitamente utilizzata nei casi di aborto e infanticidio con la parola di origine buddista kuyo che fa riferimento all’insieme di pratiche rituali dedicate al culto dei morti (Brooks, 1981).

Il termine viene utilizzato in un’accezione più vasta, arrivando a comprendere anche i casi di lutto perinatale e, più in generale, tutte quelle situazioni in cui i figli non sopravvivono ai propri genitori (Zanetta, 2018).

Questi riti sono associati al culto giapponese di Jizo, una figura del pantheon buddhista concepita come un vero e proprio “salvatore” di anime, dedito a proteggere le anime dei piccoli dai demoni, come suggerito da diverse credenze legate al folklore nipponico (Donnere, 2019; Zanetta, 2018). I riti si articolano in diversi livelli che vanno da una dimensione più privata e domestica fino ad una dimensione più complessa, simboleggiata, ad esempio, dalla diffusione di cimiteri specificamente dedicati ai Mikuzo Kuyo (Zanetta, 2018).

I riti Mikuzo Kuyo si presentano come un fenomeno complesso che necessita di essere contestualizzato nella matrice religiosa di riferimento che, in questo caso, rimanda in prima istanza al buddismo; non possono peraltro essere ignorate anche significative influenze dello shintoismo, religione nativa del Giappone.

I riti Mikuzo Kuyo appaiono perciò come una risposta con cui la cultura religiosa nipponica cerca di alleviare, per quanto possibile, la sofferenza esperita dai genitori che si sono trovati a vivere l’esperienza drammatica della perdita di un figlio (Smith, 1988; Zanetta, 2018).

I riti Mikuzo Kuyo rappresentano quindi un esempio interessante di come altre culture affrontano la dimensione religiosa dell’aborto che, nelle prassi socio-sanitarie e nei modelli d’intervento sottesi alle stesse (spesso non esplicitati) della gestione dei casi di IVG nel nostro sistema sanitario, sembrano essere rappresentati più come elementi disturbanti, fuorvianti rispetto al legittimo obiettivo dell’erogazione della prestazione sanitaria, dimenticando che la dimensione religiosa pervade sia le culture che le società, tanto da rappresentare, secondo alcuni Autori, una vera e propria lente epistemologica di riferimento (Comba, 2008).

La matrice religiosa sembra influenzare atteggiamenti e credenze che le persone nutrono nei confronti dell’aborto e, a tal proposito, è importante evidenziare che i conflitti morali che ruotano attorno al tema differiscono in base alla matrice religiosa e socio-culturale di riferimento (Zanetta, 2018).

Le letture socio-antropologiche e psicologiche del fenomeno dei riti Mikuzo Kuyo sono molteplici e articolate a diversi livelli. L’Autrice riassume e analizza le principali interpretazioni proposte da Autori occidentali, per lo più anglofoni, sul fenomeno.

Le prospettive illustrate nel saggio sono pervase dal concetto di equivalenti di morte, introdotto da Lifton (1979), e volto ad indicare l’insieme delle esperienze di separazione che anticipano la morte effettiva (Zanetta, 2018).

L’analisi parte dalle ricerche di William LaFleur (Liquid Life: Abortion and Buddhism in Japan, 1994), studioso di letteratura e religione giapponesi medievali, che ha indagato le concezioni buddiste del corpo, producendo studi pionieristici sulla bioetica giapponese, evidenziando le differenze con gli approcci occidentali sul trapianto d’organi, le definizioni mediche di morte e l’aborto, contribuendo allo sviluppo della filosofia pubblica comparata e dell’etica sociale.

Gli studi sul buddismo e la morte sottolineavano in un’ottica interdisciplinare come nel contesto culturale del Giappone il passaggio dalla vita alla morte non sia scandito in modo netto bensì sia compreso come un insieme di momenti di un passaggio fluido, alla pari di un viaggio che necessita di un percorso di accompagnamento del defunto dalla comunità dei vivi alla società degli antenati.

In maniera analoga, anche i bambini nati non entrano di default nella comunità dei vivi per il solo fatto di essere nati perché essi si ritrovano a dover intraprendere un percorso verso l’integrazione nel mondo degli umani.

LaFleur sottolinea il significato inconscio che questi rituali assumono nel Giappone post moderno e come questi possano rivelarsi utili soprattutto per quelle coppie che, per diverse ragioni, hanno optato per l’aborto. Secondo LaFleur i riti Mikuzo Kuyo possono rappresentare un mezzo per i genitori di alleviare il rimorso della scelta compiuta.

Zanetta analizza la prospettiva proposta da Harrison (1995) sul tema dell’aborto a partire, però, dalla maternità. Secondo l’Autrice la perdita del feto/bambino attiva una serie di perdite, vere e proprie connessioni infrante, a più livelli, non solo personali ma anche sociali, sia con le generazioni precedenti che con la società in continuo mutamento, dove il rapporto tra sacro e quotidiano sembra essere sempre meno forte (Zanetta, 2018).

In questo scenario le pratiche rituali rappresentano una possibile risposta anche al disagio esperito da queste continue rotture e frammentazioni, offrendo una ricostruzione di un legame con ciò che si è perduto, un modo per rapportarsi alle tradizioni più antiche della cultura di appartenenza, e un riconoscimento del lutto.

Harrison sottolinea in particolare l’importanza dell’atto di cura anche dopo la morte e la perdita, e come si possa continuare ad essere madri di quei bambini perduti continuando comunque a prendersene cura (Zanetta, 2018).

I rituali Mikuzo Kuyo, nella prospettiva della Harrison, permettano così alle donne di “riconcepirsi come donne di un figlio mai nato” e di sanare in tal modo anche il fallimento del non aver rispettato il proprio ruolo all’interno della società nipponica.

L’ulteriore prospettiva sul fenomeno avanzata da Smith (1988), collaboratore della Harrison, basata sulle ricerche condotte tra gli anni Ottanta ed i primi anni Duemila, ha evidenziato come il fenomeno dei riti Mikuzo Kuyo possano rappresentare una pratica rituale che ha la funzione di “guarigione sociale” (Zanetta, 2018).

In un’ottica di empowerment, Smith suggerisce che le pratiche rituali diventano un esempio di agency, un atto non solo volontario ma anche capace di divenire una vera e propria azione politica, capace di porre l’accento su di un bisogna attraversare le narrazioni delle persone che hanno condotto delle pratiche rituali.

La pratica diviene così anche un’esperienza condivisa e un mezzo per sviluppare relazioni, creando una rete sociale con altre persone che hanno esperito vissuti simili tra di loro. Per Smith i rituali Mikuzo Kuyo rappresentano non solo una possibilità di simbolizzazione di un lutto ma anche uno strumento di connessione con la società e il contesto, anche politico, nel quale si è inseriti.

Il fenomeno dei Mikuzo Kuyo è quindi un fenomeno complesso ma capace di sollecitare anche diversi interrogativi, quali, ad esempio:

  1. Quanto potrebbe esser utile indagare, soprattutto in ambito psicologico e psicoterapeutico, gli equivalenti di morte al fine di favorire, ad esempio, l’elaborazione del lutto conseguente all’aborto e alla IVG? Quali sono i possibili significati psicologici dei rituali post-mortem? Essi possono avere un valore psicologico e/o psicoterapeutico nei processi di elaborazione del lutto e del trauma nel contesto culturale di riferimento?
  2. Nell’ottica della prospettiva di ricerca di LaFleur, è possibile ipotizzare che anche in Italia, soprattutto i n determinati contesti territoriali, possa tutt’ora esistere una sorta di lascito, seppur inconscio, connesso ai rituali di epoche passate dedicate agli aborti? Quanto le pratiche rituali legate all’aborto trovano spazio nell’Italia attuale, influenzata da forti flussi migratori, e, se presenti, potrebbero effettivamente essere di aiuto nell’elaborazione del lutto esperita dalle donne delle diverse culture?
  3. Le attività di ricerca e l’attività clinica sovente offrono uno spazio di espressione alle persone che hanno vissuto esperienze abortive. Si possono intendere queste due attività come parte di un processo che potrebbe essere anche politico?

In conclusione, appare evidente la necessità che gli operatori sanitari tengano di conto della varietà che caratterizza il fenomeno luttuoso legato all’aborto e alla IVG; una varietà questa che è anche culturalmente e religiosamente influenzata.

In quest’ottica sembra rendersi necessaria anche la riformulazione di modelli di presa in carico delle donne con aborto e in IVG nei contesti socio-sanitari in grado di considerare anche il significato personale, culturale e religioso che la cliente/ paziente attribuisce all’aborto stesso, senza le reticenze e i timori di polemiche che, nonostante il momento storico attuale, appartengono ai fatti di un passato che richiede con un’autentica rielaborazione collettiva dello stesso, superando vecchi steccati socio-culturali che non aiutano certo le donne e le persone protagoniste di un percorso comunque difficile e complesso.

BIBLIOGRAFIA

  • Brooks, A. P. (1981). Mikuzo Kuyo and Japanese Buddhism. Japanese Journal of Religious Studies, 8 (3/4).
  • Comba, E. (2008). Antropologia delle religioni. Un’introduzione. Roma-Bari: Laterza.
  • Donnere, A.E. (2019). Finding a Place for Jizo. Japanese Journal of Religious Studies, 46 (2).
  • Harrison, E. G. (1995). Women’s Responses to Child Loss in Japan: The Case of Mikuzo Kuyo. Journal of Feminist Studies in Religion, 11 (2).
  • Galeotti, G. (2003). Storia dell’aborto. Bologna: il Mulino.
  • Lalli, C. (2011). C’è chi dice no. Dalla leva all’aborto. Come cambia l’obiezione di coscienza. Milano: il Saggiatore.
  • LaFleur, W. (1992). Liquid life: Abortion and Buddhism in Japan. Princeton: Princeton University.
  • Lifton, R. J. (1979). The Broken Connection: On Death and the Continuity of Life. London: American Psychiatric Press.
  • Smith, B. (1988). Buddhism and Abortion in Contemporary Japan: Mikuzo Kuyo and the Confrontation with Death. Japanese Journal of Religious Studies 15 (1).
  • Zanetta, M. (2018). Bambini d’acqua. I rituali Mikuzo Kuyo nel Giappone contemporaneo. Milano: Franco Angeli Editore.

Sitografia

Barlaam, R. (2022). Corte Suprema e aborto: una sentenza che spacca l’America in due. Consultato in data Luglio 07, 2022 da https://www.ilsole24ore.com/art/una-sentenza-che-spacca-lamerica-due-AEUtlEiB