Psicologia Clinica, Psicoterapia, Riabilitazione neuropsicologica: integrare i saperi per superare il riduzionismo tecnicista

Emanuele del Castello, Psicologo Psicoterapeuta, Specialista in Psicologia Clinica, Didatta Scuola di Psicoterapia Cognitiva (SPC).

Articolo estratto dal numero speciale di PsicologinewsScientific dedicato ai trenta anni di neuropsicologia in Campania

Un po’ di storia: la nascita delle professioni psicologiche

I trenta anni di Neuropsicologia Cinica in Campania, che celebriamo in questa sede, coincidono in gran parte con il trentennio di vita della Professione di Psicologo regolamentata dalla legge 56/89. Come si sa, questa legge era stato il frutto di un faticoso lavoro di mediazione tra interessi diversi. Era chiaro a tutti, infatti, che i nuovi professionisti laureati in Psicologia si sarebbero orientati verso la pratica clinica, sconfinando in un’area, la terapia, fino ad allora di competenza esclusiva della professione medica. Al di là di possibili verosimili interessi corporativi in gioco, diventava necessario tutelare, pertanto, la salute della cittadinanza, creando una chiara distinzione tra l’attività psicoterapeutica e le altre attività che vengono attribuite allo psicologo dalla stessa legge. In qualche modo la psicoterapia veniva individuata come area di pratica professionale comune per medici e psicologi.

L’utile compromesso raggiunto con l’art. 3 lasciava allo Psicologo, non specializzato ai sensi dello stesso articolo, un’ampia gamma di attività professionali che se, da una parte, avevano lo scopo di estendere le competenze dello Psicologo ai più svariati settori della convivenza umana con attività come diagnosi, prevenzione, a b i l i t a z i o n e e r i a b i l i t a z i o n e che restavano idealmente ancorate all’ambito sanitario, dall’altra, attività come sostegno, ricerca, insegnamento non apparivano sufficienti a lasciare immaginare una professione psicologica non clinica.

A quei tempi, una distinzione sommaria tra le attività dello Psicologo sembrò sufficiente, soprattutto perché la vocazione “clinica” dei giovani psicologi italiani li spingeva, spesso immediatamente dopo la laurea, ad iscriversi ad una s c u o l a d i P s i c o t e r a p i a p e r compensare la scarsa capacità professionalizzante delle Facoltà di Psicologia. Naturalmente, a questa scelta contribuì anche la norma per cui gli Psicologi, così come tutti gli altri professionisti Sanitari, possono accedere ai concorsi nella Sanità p u b b l i c a s o l o c o n l a S p e c i a l i z z a z i o n e . L a specializzazione in Psicoterapia, in carenza di altre specializzazioni in ambito psicologico, consentiva questa possibilità; pertanto, una formazione di questo tipo, nelle sue svariate declinazioni originate dai modelli teorici esistenti nel campo, diventava un valido sostituto per una formazione in Psicologia Clinica che potesse fornire ai professionisti impegnati nei vari ambiti della tutela della salute, nel Sistema Sanitario Nazionale come nell’ambito privato, l e competenze professionali teoriche, ma soprattutto pratiche, necessarie a garantire la tutela della salute delle persone.

Il caso della Neuropsicologia Clinica

La neuropsicologia clinica s e m b r a v a e s s e r e s f u g g i t a completamente all’attenzione del legislatore della 56/89. In teoria, il riferimento ad “abilitazione e riabilitazione” presente nell’art. 1 avrebbe potuto risolvere la questione collocando una disciplina così complessa chiaramente sanitaria, e forse ancor più ancorata alla pratica medica, fuori dell’area terapeutica. Non tutti, però, si sono accorti del pericolo di questa operazione; molti, anzi, hanno visto nella introduzione d e g l i i n s e g n a m e n t i d i neuropsicologia nelle facoltà di Psicologia, la possibilità di rendere autonoma la disciplina rispetto alla Neurologia, aprendo, allo stesso tempo, la possibilità di nuovi spazi occupazionali per i giovani psicologi. Questa aspirazione sembrava ancora più concreta con la riforma dell’Università che ha introdotto il cosiddetto 3+2 nel percorso universitario.

Più che in altri settori, il Dottore in Tecniche Psicologiche (in ambito Neuropsicologico) sembrava aprire nuove prospettive lavorative; il problema così diventava: se esistono psicologi cosiddetti “junior” o anche “senior ” addet t i al la riabilitazione neuropsicologica, chi s a r à l o s p e c i a l i s t a che ne programmerà, supervisionerà e verificherà l’applicazione delle tecniche in cui è formato? All’interno del Sistema Sanitario la risposta risultava automatica e cioè che la direzione del processo terapeutico-riabilitativo spettasse al Medico specialista in Neurologia e non a uno Psicologo Clinico.

Tuttavia, al di là degli evidenti conflitti di interesse corporativi, la conseguenza non può non essere che la riduzione del processo r i a b i l i t a t i v o i n a m b i t o neuropsicologico a procedura tecnica, paragonabile ad analoghe procedure in ambito ortopedico o urologico, scevra da un progetto terapeutico-riabilitativo che tenesse conto del ruolo fondamentale di funzioni quali la memoria, i l linguaggio ed altre che costituiscono aspetti importanti dell’identità e della vita relazionale di una persona.

Tale consapevolezza, per fortuna, sembra cresciuta negli ultimi d e c e n n i . Lo s v i l u p p o d e l l e neuroscienze ha portato, infatti, a un superamento del vecchio dualismo cartesiano di corpo e mente e ormai prevale un’idea di funzionamento psicologico in cui mente e cervello sono strettamente integrati.

Inoltre, l’esperienza clinica in ambito riabilitativo ha messo in evidenza la stretta connessione tra recupero delle funzioni cognitive danneggiate e sistema motivazionale del paziente (Del Castello e Lepore, 2002).

Lo spazio della Psicologia Clinica

La definizione della Psicologia come professione sanitaria ha aperto una nuova questione: e cioè quella di delineare il campo della Psicologia C l i n i c a e , d i conseguenza, p r o g e t t a r e i p e r c o r s i d e l l a formazione di uno Psicologo Clinico nei vari settori di applicazione.

Se facciamo riferimento alla definizione della Divisione di Psicologia Clinica (Divisione 12) dell’American Psychological Association (APA) leggiamo che: “Il campo della psicologia clinica integra scienza, teoria e pratica per comprendere, prevedere e alleviare il disadattamento, la disabilità e il disagio, nonché per promuovere l ‘ a d a t t a m e n t o u m a n o , l’aggiustamento e lo sviluppo personale. La psicologia clinica si concentra sugli aspetti intellettivi, emotivi, biologici, psicologici, sociali e c o m p o r t a m e n t a l i d e l funzionamento umano nel corso della vita, in culture diverse e in tutti i livelli socioeconomici (APA, 2012).”

Nella nostra realtà storica e culturale, questo significa definire l’identità dello Psicologo Clinico come Professionista della salute, dotato di autonomia decisionale in materia d i diagnosi, cura e riabilitazione delle condizioni patologiche, il quale condivide il concetto di interdisciplinarità nella gestione della salute umana, accettando la collaborazione con gli altri professionisti della salute.

L’autonomia dello Psicologo Clinico è l imi tata, da un lato, dal l a consapevolezza dei propri limiti da parte del professionista; dall’altro, è limitata dai confini stabiliti in maniera dinamica a livello internazionale tra il territorio di medicina e quello di psicologia.

Perché l’identità clinica dello psicologo sia rispettata, deve essere garantita una serie di competenze specifiche di base:

a) La competenza diagnostica, cioè la capacità di comprendere la specificità del funzionamento mentale dell’individuo. Da questa deriva la capacità di valutare la sua richiesta di aiuto. 

b) La competenza motivazionale, cioè la capacità di orientare e motivare la persona utente al cambiamento per la soluzione del problema presentato. 

c) La competenza procedurale, cioè la consapevolezza delle potenzialità e dei limiti dei propri strumenti di conoscenza e di cambiamento. Essa comprende la conoscenza d e g l i i n t e r v e n t i evidence-based pertinenti al problema trattato, nonché la capacità di monitorare e valutare i risultati del trattamento effettuato. 

d) La competenza trasformativa, c i o è l ’ E x p e r t i s e n e l l a Concettualizzazione del caso e nella gestione del trattamento. 

e) La competenza comunicativa, cioè la capacità di rendicontare il proprio operato, ricordando che «Scripta manent», cioè che la qualità del lavoro dello Psicologo Clinico può essere valutata attraverso i documenti che accompagnano le sue prestazioni.

La competenza clinica dello Psicologo, pertanto, va intesa come integrazione di competenze, che necessitano di un addestramento pratico, più che di un insegnamento teorico.

Infine, allo stato non è più possibile proporre al mercato una figura di Psicologo tuttologo. Pertanto, se la competenza clinica di base è assicurata per tutti gli psicologi clinici, allora è possibile cominciare a immaginare settori di competenza specialistica che si sviluppano con proprie ramificazioni. Ne consegue che la competenza psicologico-clinica può essere incarnata solo da una comunità di psicologi che integrano le proprie competenze per fornire servizi competenti all’utenza. In questa comunità i Neuropsicologi Clinici occupano un posto di sicuro rilievo.

Riferimenti 

American Psychological Association, 2012. About clinical psychology. Retrieved from http://www.apa.org/ divisions/div12/aboutcp.html 

Del Castello E. e Lepore M., 2002. Il ruolo delle percezioni di autoefficacia nel trattamento riabilitativo. In D. Grossi e M. Lepore: Amnesie e Disturbi delle Cognizione Spaziale. Un approccio razionale a l l a riabilitazione neuropsicologica. Milano, FrancoAngeli.