Stress e Mentalizzazione

di Adelina Detcheva

stress e mentalizzazione

Nel linguaggio corrente, l’utilizzo della parola “stress” ha una duplice polarità. Da una parte, essa vuol indicare una condizione psicofisica ben specifica, in senso fortemente evocativo: pesantezza, tensione, malessere ad accezione fortemente fisica, dovuto a problemi non ben identificati, sebbene spesso collocabili in uno specifico dominio (es. lavoro); dall’altra, rimane una parola vaga, vuota, confusa. Insomma, dal punto di vista clinico, essa vuol dire tutto e non vuol dire niente. Niente di specifico, niente di definibile dal punto di vista del senso. Insomma, spesso prova “stress” chi non sa cosa prova, ma vive una situazione spiacevole dal punto di vista fisico e dell’umore, sebbene non riesca a mettere a fuoco le determinanti di questa condizione.

Distress

Lo stress è un costrutto al centro dell’indagine interdisciplinare. Tra fisiologia e psicologia, lo stress nel linguaggio corrente è noto soprattutto nella sua accezione negativa, ovvero come il “distress” a livello scientifico, di senso opposto rispetto al concetto di “eustress”, una sorta di eccitazione gioiosa (Selye, 1975). Definibile come una percezione soggettiva di incapacità di gestire la situazione, in quanto questa richiederebbe risorse eccedenti rispetto a quelle di cui ci sentiamo in possesso (Lazarus e Folkman, 1984), il distress ci disorganizza, ci butta a terra, ci lascia incapaci di reagire in modo adattivo.

Distress e corpo

E’ noto ormai, anche a livello culturale, la modalità con cui il distress consuma il corpo. La ricerca neuroscientifica ha fatto passi importantissimi negli ultimi anni. Pensiamo allo stress acuto: tachicardia, pressione sanguigna alta, ansia, insomma, risposta di allarme che ci carica di adrenalina e mette il corpo in una condizione di “iperarousal”, ovvero di uno stato di attivazione fisico e psicologico abnorme. Se, invece, pensiamo allo stress cronico, ovvero ad una situazione di costante stress che la persona non riesce a gestire, ecco che si viene travolti da risposte ormonali di cortisolo (il cosiddetto “ormone dello stress”) a rilascio costante che abbattono le difese immunitarie, abbassano il tono dell’umore, inducendo sentimenti profondamente avvilenti, come la disperazione e la demoralizzazione (Porcelli, 2009).

Stressor

Lo stressor è il fattore stressante, la situazione che ci espone ad una condizione di disagio. In letteratura, si parla di eventi psicosociali stressanti, i cosiddetti “life events”, situazioni oggettivamente impegnative che sfidano le persone a reagire. Una buona lista di eventi psicosociali viene esplorata da Paykel et alii (1971) ed include stressors di vario genere, come ad es. lutti di persone care, malattie gravi di persone significative o della persona, matrimoni, relazioni di coppia conflittuali (separazioni, divorzi, tradimenti), difficoltà economiche (licenziamenti, fallimenti, debiti), trasferimenti, gravidanze e aborti, adozioni. Insomma, si tratta di sfide adattive nuove che la persona si trova a fronteggiare con gli strumenti attuali che possiede.

Coping

Certo, gli eventi psicosociali ci mettono in gioco, ma sono le risposte del soggetto a fare la differenza. Parliamo di coping, ovvero di quelle strategie soggettive che la persona mette in atto per fronteggiare le nuove sfide della propria vita (Taylor, Stanton, 2007). In letteratura vengono solitamente indicate modalità di coping maggiormente funzionali alla situazione o, al contrario, modalità disfunzionali, ovvero che non funzionano, non riducono il distress della persona e/o non l’aiutano ad adattarsi alla nuova condizione.

Risorse

Le risorse solitamente sono dovunque. Per definire una cornice di lettura di questo utile aiuto, in primis possiamo indicarle come interne ed esterne. Vi sono così caratteristiche personali “forti”, come ad es. il senso di umorismo, la fiducia, la determinazione, la capacità di mentalizzazione, la resilienza, e le risorse esterne, come il sostegno sociale, incluso l’aiuto di familiari, persone significative, professionisti. Insomma, si tratta di fattori che supportano l’adattamento e favoriscono la percezione di benessere.

Mentalizzazione

La mentalizzazione è un costrutto dotato di uno straordinario potenziale in psicologia clinica e psicoterapia. Sapere cosa proviamo, cosa ci disturba, in poche parole, essere capaci di riflettere sulla nostra esperienza interna ed esterna, è un fattore di protezione trasversale in una serie di situazioni che potrebbero minare il nostro benessere e la nostra salute mentale (Allen e Fonagy, 2006). Essa potenzia il nostro adattamento, media la risposta della persona di fronte agli stressors, modula l’attivazione psicofisica del nostro corpo. In altre parole, la capacità di mentalizzazione può trasformare una situazione aspecifica e generica di disregolazione psicofisica in un aspetto specifico della nostra esperienza suscettibile di essere ristrutturato, risignificato ed, infine, superato. Non si tratta di un costrutto soltanto cognitivo, in quanto le emozioni sono centrali per sua definizione. Tuttavia, esso è anche cognitivo, nel senso che ha la peculiarità “mentalizzante” di dare forma al nostro vissuto emotivo. Certo, la consapevolezza emotiva non è tutto e ci sono, di solito nella vita, molti altri fattori di vario genere in gioco, ma la mentalizzazione, in ogni caso, protegge il corpo e la mente, ponendosi similmente ad un faro che ci guida durante la tempesta.

Nessun problema può resistere all’assalto di una riflessione approfondita”.

(Voltaire)

Bibliografia

Allen J.G., Fonagy P. (2006). La mentalizzazione. Il Mulino: Bologna, 2008.

Folkman S., Lazarus R.S. (1984). Stress, Appraisal, and Coping. Springer: New York.

Paykel E.S., Prusoff B.A., Uhlenhut E.H. (1971). Scaling of life events. Archives of General Psychiatry,25,340-7.

Porcelli P. (2009). Medicina psicosomatica e psicologia clinica. Raffaello Cortina: Milano.

Selye H. (1975). Implications of stress concept. New York State Journal of Medicine, 75(12), 2139–2145.

Taylor S.E., Stanton A.L. (2007). Coping resources, coping processes, and mental health. Annual Review Clinical Psychology, 3, 377-401.