Trenta anni (1992 – 2022) di neuropsicologia clinica in Campania: prima e dopo “Amnesie e disturbi della cognizione spaziale”

di Michele Lepore, Psicologo, psicoterapeuta; Direttore scientifico Scuola Campana di Neuropsicologia (SCNp), Docente di Neuropsicologia c l i n i c a e f o r e n s e S c u o l a Specializzazione in Psicoterapia CSP, Casoria (Na) e Caserta

Articolo estratto dal numero speciale di PsicologinewsScientific dedicato ai trenta anni di neuropsicologia in Campania.

Venti anni fa la pubblicazione del libro. Ma quel contributo fu solo il punto di arrivo di una complessa e laboriosa esperienza professionale, scientifica, organizzativa e personale degli autori coinvolti e di tanti altri colleghi, esperienza che, nel 2002, era già iniziata dieci anni prima. Sono grato al Prof. Alberto Grasso per aver accettato di contribuire a questo numero, con il racconto di “quel pomeriggio particolare”, agli inizi degli anni novanta, al pian terreno della Clinica Neurologica dell’Università “Federico II”. Alberto ha avuto un importante ruolo nella storia che raccontiamo, contribuendo a catalizzare quel processo per cui la Neuropsicologia campana scese “dalla torre eburnea”, come ci ricorda nel suo intervento, iniziando a intervenire nel campo della riabilitazione clinica. D’altra parte Dario Grossi è sempre stato innanzitutto un clinico, attento all’osservazione del paziente, con cui si relazionava sempre con grande naturalezza ed umanità. Non a caso nella prefazione del libro ci tenne a scrivere che “per presentare al pubblico i metodi e le tecniche u t i l i z z a t e abbiamo p r e f e r i t o descriverle discutendo i casi clinici […] in modo da evitare una sterile elencazione di procedure; si è ritenuto in questo modo di dare rilievo al carattere clinico ed applicativo, che è consono alla disciplina”.

N e i p r i m i a n n i n o v a n t a i o frequentavo ancora il policlinico almeno una volta alla settimana. Ci ero arrivato come tirocinante nell’autunno del 1989, unico psicologo all’epoca. In quell’estate mi ero laureato alla Sapienza, a Roma. Avevo scritto la tesi con Arturo Orsini, Teoria e tecnica dei test, ed avevo eseguito una taratura del test di Corsi nei bambini. Allora n o n c ‘ e r a u n e s a m e d i Neuropsicologia ed io non ne sapevo niente. Nello scrivere la tesi, però, mi ero appassionato. Orsini fu contento del lavoro e mi propose di partecipare al bando per il Dottorato. Allora Roma era molto più lontana di ora da Avellino, dove ho sempre vissuto, e gli chiesi se avessi potuto continuare la collaborazione in una struttura più vicina a casa. Mi scrisse una lettera di presentazione e mi inviò da Dario Grossi. Iniziai, finalmente, il mio apprendistato clinico, collaborando anche alle attività di ricerca del gruppo, tutti neurologi. Così, agli inizi del 1992, non molto tempo dopo quel pomeriggio particolare, Dario mi propose di far parte di una prima equipe che avrebbe iniziato di lì a poco a riabilitare pazienti neurologici e nel maggio 1992 cominciammo in una clinica riabilitativa. Dopo poco r i p r o d u c e m m o i l m o d e l l o organizzativo con una seconda equipe campana.

Furono anni appassionati ma anche faticosi, la riabilitazione cognitiva era agli esordi e spesso si basava sull’applicazione di tecniche volte a ripristinare la funzione danneggiata attraverso esercizi r i p e t i t i v i ( r e s t o r a t i o n ) , p e r l o p i ù standardizzati ed indicati sulla base della descrizione fenomenologica del disturbo, piuttosto che su un’analisi funzionale del meccanismo cognitivo danneggiato. Seguimmo invece un approccio diverso, considerati anche gli insuccessi pratici di quelle tecniche. L’“idea semplice” che viene descritta nell’introduzione del libro (“Storia di un’idea semplice” ) prevedeva che si facesse leva su un ruolo attivo del paziente, che doveva p r e l i m i n a r m e n t e d i v e n t a r e consapevole delle proprie difficoltà, descritte in termini funzionali a partire da modelli cognitivi noti, e quindi, insieme al riabilitatore, individuare delle strategie alternative d i soluzione d i un compito, attraverso il ricorso ad esercizi volti a stimolare i processi logici e di problem solving. Un approccio, quindi, basato sulla “reorganization”, volto al rimodellamento dei processi cognitivi. Poi, man mano che le nostre esperienze si accumulavano, fu presto chiaro che bisognava intervenire anche su altri aspetti, motivazionali, relazionali, sistemici, con il coinvolgimento dell’ambiente di riferimento (che, oltretutto, doveva imparare a sopperire ad alcune difficoltà insormontabili del paziente, attraverso, quindi, interventi c o m p e n s a t i v i ) . Q u e s t a consapevolezza ci costrinse ad un u l t e r i o r e ampliamento d e l l a prospettiva teorica e clinica, che sempre più dovette attingere anche a teor ie e prassi del sapere p s i c o l o g i c o – c l i n i c o e psicoterapeutico ed a riconoscere la n e c e s s i t à d i u n a p p r o c c i o interamente basato su un modello psicologico, piuttosto che medico, c u i , a l l ‘ e p o c a , e r a , i n v e c e , uniformata la riabilitazione da un punto di vista teorico, professionale ed organizzativo. Non più, quindi, una diagnosi descrittiva medica, ma una diagnosi funzionale cognitiva; non più la prescrizione di tecniche alla stregua di un farmaco e ripetizione di esercizi, ma i l coinvolgimento attivo del paziente nella consapevole ricerca di strategie; non più l’intervento parcellizzato sul disturbo cognitivo prodotto dalla lesione, ma la considerazione anche degli aspetti emotivi, motivazionali e relazionali nel loro insieme; non più il paziente come destinatario isolato della riabilitazione, ma il coinvolgimento del contesto familiare e relazionale in un’ottica sistemica. Questi aspetti possono essere rinvenuti soprattutto nel primo capitolo del libro (“I problemi della r i a b i l i t a z i o n e dell’amnesico”) e nel lavoro con Emanuele Del Castello (Capitolo 6: “ I l ruolo delle percezioni di autoefficacia nel trattamento neuroriabilitativo”) in cui si esplicita il ricorso ad una chiave di lettura psicologico-clinica per spiegare quelli che venivano liquidati come effetti aspecifici del trattamento riabilitativo. Ringrazio Emanuele per avere accettato di intervenire in questo numero sul rapporto tra neuropsicologia e psicologia clinica e sulla necessità di evitare derive tecnicistiche in entrambi i campi.

L’ampliamento di prospettiva ed il conseguente cambio di paradigma fu reso possibile anche da un altro aspetto che caratterizzò fortemente il gruppo: un reale lavoro di equipe. Come ben descritto da Anna Emilia Napolitano, detta Anita, nel suo contributo, “l’aspetto corale del nostro intervento era il leitmotiv di un approccio riabilitativo che vedeva coinvolte tutte le figure professionali in tutte le fasi del progetto”. Anita è logopedista e fece parte da subito di entrambe le equipe riabilitative attivate, insieme anche ad alcuni fisioterapisti, diventandone un elemento centrale, sia per i compiti che svolgeva, ma soprattutto per l’attitudine, la sensibilità psicologica e l a c r e a t i v i t à c h e l a contraddistinguevano. Il lavoro di equipe, inteso, quindi, in maniera sostanziale, senza compartimenti stagni tra le diverse professionalità, favorì ovviamente il superamento del modello diagnosi medica/testistica neuropsicologica/sedute riabilitative, verso un approccio di tipo olistico, che, oltretutto, in altre parti del mondo rappresentava già una modalità di intervento consolidata anche da un punto di vista amministrativo. Ritorneremo più avanti su questo punto.

Nel frattempo, per motivi logistici di carichi di lavoro, il gruppo si era arricchito di altri elementi, in particolare la psicologa Valentina Angelillo, che si stabilizzò a Castelmorrone, e in Molise dapprima la collega Gabriella Correra, scomparsa prematuramente (il libro è dedicato alla memoria di Gabriella e di Renato Angelini), e poi Gabriela di Cesare, che ringrazio per il bello e complesso contributo che ha fornito in questo numero. Intanto in squadra cominciavano ad approdare i laureandi (e poi tirocinanti) di psicologia, quella che potremmo definire la seconda g e n e r a z i o n e di psicologi-neuropsicologi. Il primo fu Marzio Ascione, che, con la sua tesi di laurea, contribuì ad una prima s i s t e m a z i o n e d e g l i a s s u n t i metodologici che sovrintendevano il nostro operato clinico-riabilitativo. Ricordo che fu per tutti noi un compito faticoso e complesso, esplicitare richiede sempre sforzo. Mi venne l’idea di approfittare del fatto che Marzio fosse stato fino ad allora estraneo a quello che noi facevamo da tempo (quegli interventi erano diventati ovvi per noi) e gli chiesi di intervistarci facendoci domande apparentemente ingenue, ma proprio per questo difficili da rispondere. Insomma una sorta di metodo maieutico. Inoltre, sempre per la sua tesi, portò avanti una sperimentazione sull’efficacia di una tecnica di riabilitazione per la memoria di prosa, da noi messa a punto, che verificammo così su due pazienti, attraverso un rigoroso disegno sperimentale su caso singolo con metodo del confronto diretto (divenne poi un capitolo del libro). L’approccio clinico non è sinonimo di auto-referenzialità, né è antitetico al metodo sperimentale. Poi Marzio si trasferì in Inghilterra, dove continua ad occuparsi con notevole successo professionale di neuropsicologia, senza mai perdere i contatti con il gruppo campano, e collaborando talvolta alle attività didattiche napoletane. In questo numero anche un suo contributo. N e l l o stesso periodo Katia Celentano iniziò da noi il suo lavoro di tesi, con uno studio sperimentale di verifica di un trattamento riabilitativo di un giovane adulto che, quando aveva dodici anni, era stato colpito da una grave forma di encefalite erpetica, residuandone un disturbo della memoria semantica. Un deficit, quindi, stabilizzato, che fu oggetto di riabilitazione per diversi mesi. La rigorosa procedura di verifica adottata (che prevedeva anche il confronto della tecnica sperimentale con una di controllo) evidenziò l’inefficacia dell’intervento. Lo studio fu pubblicato nel libro (Capitolo 5) perché ritenemmo che fosse interessante per tre motivi: documentare i fallimenti ci informa su cosa non f a r e , evitando a c c a n i m e n t i t e r a p e u t i c i ; l a metodologia di verifica utilizzata r a p p r e s e n t a v a u n m o d e l l o sperimentale utile per ulteriori studi; l’analisi dell’insuccesso permetteva di comprendere meglio i meccanismi di apprendimento in presenza di un disturbo di memoria semantica. Dopo aver conseguito la Laurea, Katia svolse il suo tirocinio con il nostro gruppo e fornì i l suo importante contributo a diverse attività che stavamo intraprendendo. Presso l’Ordine degli Psicologi della Campania, infatti, nel 1999 era stato istituito un Gruppo di lavoro in Psicologia della riabilitazione ed ero stato incaricato di coordinarlo. Decisi di coinvolgere anche altre figure professionali, soprattutto logopedisti e fisioterapisti, e realizzammo una “gioiosa macchina” organizzativa che, con l’infaticabile e rigorosa coordinazione di Katia, coadiuvata da Maria Rosaria Cerbone ed altri tirocinanti dell’epoca, riuscì in un’impresa tale che ancora oggi mi stupisco per l ‘efficienza e, soprat tut to, per l ‘ a r m o n i a d i s q u a d r a c h e realizzammo. Furono, c o s ì , organizzate, a cavallo tra dicembre 2001 e marzo 2002, cinque giornate di studio itineranti, una ogni mese circa, praticamente a costo zero per l’Ordine, grazie all’ospitalità delle strutture riabilitative coinvolte. Cinquecento persone parteciparono ad almeno uno dei 5 convegni, con, in media, 160 presenze per ogni convegno ( e p i c c h i d i 200 partecipanti). I dettagli nell’intervento di Maria Rosaria. L’iniziativa si avvalse anche del contributo attivo dell’A.I.T.Ri.Np. (Associazione Italiana Terapisti della Riabilitazione Neuropsicologica), il cui presidente fu Anita. Ringrazio Anna De Filippo, per aver ricordato l’esperienza di questa Associazione. Anna, tra i primi logopedisti a laurearsi al Corso presso il II Policlinico, era approdata al nostro staff riabilitativo per affiancare Anita e fu tra gli autori di uno dei capitoli del libro. L’anno precedente all’itinerario, intanto, Katia aveva contattato, su mio s u g g e r i m e n t o , A n n e – L i s e Christensen, che incont rò in Danimarca nell’estate del 2000. La Prof. Christensen, allieva di Bruner e di Luria (autrice del libro “Luria’s Neuropsychological Investigation”,) e r a n e u r o p s i c o l o g a p r e s s o l ‘ O s p e d a l e u n i v e r s i t a r i o d i Copenhagen e aveva avuto un ruolo cruciale per lo sviluppo, a livello internazionale, dell’approccio olistico in riabilitazione neuropsicologica. Ci concesse un’interessante intervista che fu pubblicata di lì a poco, nella primavera del 2001. L’invitammo poi in Italia e fu ospite dell’Ordine degli psicologi della Campania nel 2002, partecipando a diversi eventi scientifici. Sarebbe ritornata, poi, nel 2011, ospite della Scuola Campana di Neuropsicologia, tenendo sia delle lezioni per il Master (del cui comitato scientifico era presidente onorario), tra cui una preziosa illustrazione d e l l a L N I , l a L u r i a ‘ s Neuropsychological Investigation, sia due importanti seminari. Il primo, “Luria’s legacy in the 21st century: the enduring impact of Luria’s work on neuropsychological evaluation and rehabilitation” presso la sede della Scuola, in via Marina a Napoli, ed il secondo, “Fondamenti di Psicologia della Riabilitazione”, presso la Facoltà di Psicologia dell’Università Federico I I . Ricordiamo la prof.ssa Christensen, scomparsa nel 2018, con profonda stima ed affetto.

Il modello riabilitativo che stavamo sviluppando dai primi anni novanta, d u n q u e , e b b e l a s u a sistematizzazione compiuta nel libro del 2002. Tuttavia, già dal 1997, Dario mi coinvolse in una serie di corsi e seminari su argomenti di v a l u t a z i o n e e r i a b i l i t a z i o n e neuropsicologica, che ci costrinsero a d i n i z i a r e u n ‘ o p e r a d i sistematizzazione necessaria alle lezioni. La neuropsicologia era, all’epoca, ancora una disciplina poco frequentata, sia dagli psicologi che dai medici e dai terapisti. Iniziammo, così, a spostarci per l’Italia, Savona, Catania, Reggio Calabria, Palermo. Un’importante pietra miliare nel determinare il convincimento che le nostre ricerche fossero mature per essere raccolte in un libro fu rappresentata dal “VI Seminario Interdisciplinare di Riabilitazione” che si tenne nell’inverno del 1998 a Porto Potenza Picena (Mc), presso l’Istituto di Riabilitazione S.Stefano, cui parteciparono i ricercatori più accreditati della neuropsicologia italiana dell’epoca. Dario era stato invitato a tenere una relazione, ma qualche giorno prima ebbe un impedimento personale e mi chiese di sostituirlo. Non senza timore reverenziale per quell’uditorio e per la responsabilità di cui il Prof. Grossi mi aveva investito, andai e presentai la mia relazione dal titolo “La riabilitazione degli amnesici con approccio razionale”. Era per me un salto nel buio, le idee che avevamo messo in campo erano piuttosto innovative e non sapevo che accoglienza avrebbero potuto avere da parte di un uditorio tanto qualificato. Mi fidai della valutazione del maestro, che aveva deciso di sottoporle in quel contesto. Al termine della relazione l’applauso fu tale da dissolvere ogni timore precedente. Durante la pausa caffè si avvicino il Prof. Gainotti, per me u n m o s t r o s a c r o d e l l a neuropsicologia italiana, e disse testualmente “E’ molto interessante quello che state facendo a Napoli, molto creativo”. Quando tornai a Napoli e raccontai l’episodio ai colleghi, in clinica un po’ ci montammo la testa. Negli anni a cavallo della pubblicazione del libro avremmo continuato a divulgare le nostre esperienze. Nel 2002 tenemmo un intero Corso su “Clinica e diagnosi neuropsicologica dei disordini mnesici” pres so la prestigiosa I.R.C.C.S. ”Oasi Maria S S ” a T r o i n a ( E N ) e successivamente fui incaricato della Direzione scientifica del corso in “ R i a b i l i t a z i o n e d e i d i s t u r b i neuropsicologici” dalla Fondazione Centri di Riabilitazione Padre Pio a S. Giovanni Rotondo (FG), cui parteciparono come docenti anche numerosi professori della Facoltà di psicologia della allora Seconda Università di Napoli (SUN), dove, intanto, ero stato nominato prima, nel 2001, Cultore della materia (insegnamento di Neuropsicologia di cui era titolare Dario) e, poi, dal 2003 d o c e n t e a c o n t r a t t o d i Neuropsicologia clinica (M-PSI/08). A questo proposito, il Direttore Felaco mi ricordava, nel corso del recente webinair sul canale di Psicologinews (registrazione d i s p o n i b i l e a l l i n k : h t t p s : / / psicologinews.i t /ventennale-di-amnesiee-disturbi-della-cognizione-spazialeun-approccio-razionale-alla-riabilitazioneneuropsicologica-di-d-grossie-m-lepore/?list ), che ero stato il primo psicologo ad insegnare Neuropsicologia in un Ateneo dell’Italia meridionale. Non ho mai verificato personalmente, ma ricordo che Dario, il giorno della mia prima lezione, mi disse che avevo questo “piccolo primato”, come lo definì. Ne fui molto soddisfatto, dieci anni prima mi ero avvicinato ad una neuropsicologia appannaggio dei medici, gli psicologi incontravano molte d i f fi c o l t à a p r a t i c a r l a professionalmente e gli stessi colleghi la consideravano spesso una branca medica.

Nella seconda metà degli anni 2000, dunque, la neuropsicologia era oramai indiscutibilmente una disciplina psicologica. Nella prefazione del libro “Introduzione alla Neuropsicologia” (2007), volume impreziosito dalla post-fazione di Dario Grossi, sottolineai, nel rilevare che tutti i coautori fossero psicologi, c o m e “ a n c h e i n I t a l i a , l a neuropsicologia è diventata, a pieno titolo, un patrimonio culturale e tecnico della psicologia, che lo ha ereditato dalla prestigiosa tradizione che si era sviluppata in seno alla neurologia”, auspicando che la disciplina potesse “contribuire allo sviluppo dei modelli teorici e della pratica clinica psicologica, compresa quella della psicoterapia” ed evidenziando che essa si dovesse “arricchire dei tradizionali saperi e competenze della psicologia clinica, p e r e s t e n d e r e s emp r e p i ù l’intervento clinico neuropsicologico (soprattutto in campo riabilitativo) agli aspetti emotivi e relazionali, secondo un approccio olistico”. Nello stesso periodo le prestazioni neuropsicologiche (diagnostiche e riabilitative) diventavano sempre più richieste. La disciplina andò incontro, tuttavia, a quella che definirei una crisi di crescita. Si fece strada, infatti, “l’idea (e la prassi) di c o n s i d e r a r e l a v a l u t a z i o n e neuropsicologica una sorta di esame strumentale di laboratorio, con la somministrazione da parte dello psicologo di specifici test” (come ebbi a scrivere poi nel 2013, si può consultare il lavoro al link: https:// www.scnp.it/2014/10/22/il-colloquio-clinicoin-ambito-neuropsicologico-laneuropsicologia-come-pratica-psicologicoclinica/ ). Spesso studenti, tirocinanti e giovani colleghi realizzavano una sorta di “fuga dalla psicologia” ed un “rifugio nella tecnicalità”, percorrendo, a mio avviso, una sorta di “scorciatoia verso la più semplice, lineare, deresponsabilizzante e rassicurante pratica di laboratorio. Essi, infatti, venivano frequentemente ammessi come volontari nelle strutture cliniche pubbliche e private ed impiegati come “testisti”, mentre il lavoro clinico e quello diagnostico veniva svolto da medici, per lo più neurologi o geriatri (di ruolo presso la struttura). Ancora oggi, purtroppo, l ‘ a t t i v i t à d i m o l t i p s i c o l o g i – neuropsicologici viene ridotta alla capacità di somministrare test. Anche le occasioni di formazione ad un agire clinico-psicologico sono sempre più rarefatte e capita spesso di leggere relazioni diagnostiche che tali non sono, ridotte ad una elencazione, talvolta fuorviante, di abilità risparmiate e danneggiate, in base ai soli punteggi ai test, in assenza di qualsiasi ragionamento diagnostico o di una diagnosi psicologica propriamente detta (che pure la Legge 56/89 attribuisce allo psicologo; si vedano i recenti contributi sull’argomento accessibili a l l a p a g i n a “ m a t e r i a l i ” d i www.icnp.it). Fu così che, per contribuire ad arginare il fenomeno, decidemmo, con una nutrita squadra di colleghi, di fondare la Scuola Campana di Neuropsicologia (www.scnp.i t), un’associazione senza scopo di lucro. Era l’inverno del 2008. L’Associazione fu intitolata simbolicamente a Lightner Witmer, psicologo. A lui, infatti, si deve la fondazione, nel 1896, della prima clinica psicologica presso i l l a b o r a t o r i o d i p s i c o l o g i a dell’Università di Pennsylvania e della prima rivista di Psicologia Clinica, Psychological Clinic, che aprì il primo numero, nel 1907, con la descrizione di due casi clinici che oggi definiremmo neuropsicologici. Colonne portanti dell’associazione furono Francesca Cimmino e Maria Carmela Orefice (detta Linda), che appartenevano a quella che definirei l a t e r z a g e n e r a z i o n e di neuropsicologi caratterizzati da una solida formazione clinica. In questo numero partecipano con due contributi, uno, di Francesca, che delinea la storia della Scuola Campana di Neuropsicologia, l’altro, di Linda, che racconta il progetto MMT (Mind Management Training; 2015-2018) che fu proposto dalla SCNp e finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, un progetto che estese all’area abilitativa (adolescenti senza danni cerebrali, ma socialmente e culturalmente s vantaggiat i ) le conos cenze acquisite in ambito riabilitativo (pazienti con danni cerebrali). La Scuola, che oggi ha, dunque, 15 anni di attività, ha organizzato numerosi seminari, tavole rotonde, corsi e, soprattutto, due edizioni (2010-12 e 2011-13) di un Master biennale in Neuropsicologia clinica, riabilitativa e forense, con la partecipazione, come docenti, di n u m e r o s i e s p o n e n t i d e l l a neuropsicologia i t a l i a n a ed internazionale. Tra i docenti campani, ricordo Annamaria Barbarulo, che, socio fondatore dell’associazione (per l’elenco c o m p l e t o s i v e d a h t t p : / / www.scnpweb.it/scnp/soci-fondatori/ http://www.scnpweb.it/scnp/soci-fondatori/) e responsabile del settore clinico, con un solido curriculum sia scientifico che didattico, è stata un animatore importante delle iniziative scientifiche della Scuola, fornendo un r i l e v a n t e c o n t r i b u t o n e l sottolineare ed insegnare gli aspetti clinici della disciplina. Ringrazio Matteo Corsano, allievo della prima edizione del Master, per aver accettato di contribuire a questo numero c o n i l r a c c o n t o d i quell’esperienza.

Un ultimo contributo che si può leggere in questo numero di P s i c o l o g i n e w s r i g u a r d a l a N e u r o p s i c o l o g i a d e l l ‘ e t à evolutiva, che ritengo rappresenti un settore delicato, da un punto di vista clinico-applicativo. Infatti, come già rilevato per la Neuropsicologia in generale, le applicazioni all’età evolutiva, caratterizzate soprattutto da una grossa attenzione che molti operatori dedicano al ristretto campo d i i n t e r e s s e d e i d i s t u r b i dell’apprendimento, sembrano spesso parcellizzate e appiattite su un livello tecnico e psicometrico. Il contributo è scritto da Katia Celentano, un clinico realmente esperto nel campo, essendosi occupata di tutto l’arco dell’età evolutiva e di un ampio range di disturbi, dalle funzioni spaziali a quelle esecutive, alla memoria. Infine, qualche riflessione sulla Neuropsicologia forense, a mio avviso la nuova frontiera della disciplina. Il contesto giuridico, per la psicologia in generale, rappresenta un importante banco di prova. Il c o n t e n z i o s o e d i l r e l a t i v o contraddittorio non permettono affermazioni autoreferenziali e richiedono da un lato una solida documentazione e, dall’altro, un ragionamento esplicito e stringente. In ambito forense la neuropsicologia ha acquisito sempre più un ruolo importante, sia in ambito penale, sia, a mio avviso soprattutto, in ambito c i v i l e , i n p a r t i c o l a r e p e r l a valutazione del danno (si pensi all’infortunistica stradale ed agli incident i sul lavoro) e per i l riconoscimento dell’indennità di accompagnamento (valutazione d e l l ’ a u t o n o m i a ) . L ‘ e s a m e neuropsicologico, descrivendo dettagliatamente l e funzioni compromesse, viene ritenuto uno strumento che consente a lConsulente tecnico di stabilire, in maniera documentata, argomentata e difendibile in sede di contenzioso, la presenza di deficit cognitivi e la definizione del loro livello di gravità. C i ò p e r m e t t e , d u n q u e , u n i n q u a d r a m e n t o e d u n a quantificazione del danno biologico all’interno delle sindromi previste dalla tabella delle menomazioni. In tema di invalidità, si consideri che, già nel 2010, una circolare della stessa INPS affermava che è necessaria “un’attenta indagine supportata da moderni strumenti scientifici quali […] batteria di test neuropsicologici standardizzati”. Un altro importante punto di forza dell’esame neuropsicologico è la possibilità di evidenziare tentativi di distorsione dei risultati (faking bad) e la presenza della Disfunzione Neurocognitiva Simulata (MND, M a l i n g e r e d N e u r o c o g n i t i v e Dysfunction). Anche in ambito forense, la neuropsicologia campana è stata certamente molto attiva, distinguendosi per i contributi in ambito civilistico e per lo studio dei metodi d i r i l e v a z i o n e d e l l a simulazione. Mi fa piacere ricordare due importanti eventi scientifici che si sono svolti a Napoli già dieci anni fa circa. Il primo, nel 2013, un Convegno dal titolo “L’accertamento del deficit cognitivo nel risarcimento d e l d a n n o b i o l o g i c o e n e l riconoscimento dell’invalidità civile: il contributo della neuropsicologia forense”, organizzato dall’Ordine degli psicologi della Campania, cui partecipò con una relazione anche il Prof. Claudio Buccelli, Ordinario di Medicina Legale presso l’Università di Napoli “Federico II” e Presidente della SIMLA, la Società Italiana di M e d i c i n a L e g a l e e d e l l e Assicurazioni, in cui tenni la relazione introduttiva. Il secondo, nel 2014. Il Congresso annuale della S I N P ( S o c i e t à I t a l i a n a d i Neuropsicologia) si tenne quell’anno a Napoli, era Presidente della S o c i e t à D a r i o G r o s s i . A l l a Neuropsicologia forense fu dedicato un Simposio, organizzato da Grossi e Buccelli, dal titolo “Il contributo della neuropsicologia forense all’accertamento medico-legale in a m b i t o c i v i l i s t i c o ” , c o n l a partecipazione di Andrea Stracciari (Bologna) e di Domenico del Forno, in cui fui invitato a tenere una relazione sulle potenzialità della nostra disciplina in ambito medico-legale.

A conclusione di questo excursus su trenta anni di neuropsicologia clinica campana non posso non concludere rivolgendo il mio pensiero a Dario Grossi, mio maestro, che mi coinvolse nella curatela del libro che oggi compie venti anni e da cui ha preso le mosse questo racconto. Come si legge nella quarta di copertina del libro, va ricordato che fu Dario a costituire, nel 1976, il primo Laboratorio di Neuropsicologia dell’Italia del Sud.