Un esempio di come le persone cambino quando diciamo loro di non cambiare

Di Dania Cusenza

Un esempio di come le persone cambino quando diciamo loro di non cambiare

Se Elvira fosse un accessorio sarebbe sicuramente un filo di perle, anche se non gliel’ho mai visto indossare. È sulla cinquantina. Avete presente la Gradiva? Elvira non cammina, accarezza il pavimento quando incede. Dire elegante sarebbe fuorviante. Lei è l’eleganza. Quella che non ha nulla a che vedere con una bella borsa firmata.

Si siede; la schiena diritta mi ricorda una danzatrice. Sembra su un trono.
“Cosa posso fare per lei?” dico abbozzando un sorriso. Di più mi sembrerebbe irrispettoso.
Tanto il passo era lieve tanto lo sguardo tracimava di rigidi inverni.
“Sono qui per mia figlia”.
Mi investe un’ondata di dolore addomesticato che vira subito in sfida.
“Dottoressa, ho partecipato ad uno dei suoi corsi. Lei sostiene che le persone cambino quando si dice loro di non cambiare”. Faccio un lieve cenno con la testa.
“Bellissimo slogan. Niente da dire”. La voce si fa apertamente ostile. “Ora le racconto brevemente la mia storia…” e telepaticamente saetta un “vediamo come se la cava”.

Detesto i duelli.

“Angelica ha sedici anni. Fino a dodici siamo state una cosa sola”. La voce si liquefa. Sembra di vederle complici nelle loro chiacchiere rosa confetto.
“Era una bambina dolce e affettuosa, con quel suo cerchiello in madreperla. Quando l’accompagnavo a scuola non sa quante volte si girava e poi ancora e ancora con la mano che ondeggiava. Un giorno, senza alcun preavviso, non si è girata più”. Senza. Alcun. Preavviso.
“E poi non sto qui a tediarla con i grovigli dell’adolescenza. Chissà quanti ne vedrà”. Alzo un sopracciglio.
“Lei al corso parlava di come trasformare un problema in risorsa…”. Non ho neppure il tempo di assentire che Elvira mi mitraglia con una serie di carichi da novanta che farebbero impallidire Freud, Jung, Kelly e Bruner messi insieme.
Pesco solo i macigni: “…vegeta…va malissimo…si fa le canne…è apatica…sabato è tornata sbronza. Dove ho sbagliato. Dove ho sbagliato”.
Prende fiato come per sganciare l’ultima bomba. “Ma non è questo il motivo per cui sono qui”.
Mi sento una Billy dell’Ikea prima di essere montata e senza libretto di istruzioni.
Il mio maestro molti anni fa mi diceva “vedrai, il cliente parla parla, a te a volte sembrerà di annaspare ma ad un certo punto entri nel flusso e …”.
Elvira non concede spazio ai miei salvagenti nostalgici.
“Angelica pesa 120 chili”. Una frase che di chili ne pesa mille. “Le ho provate tutte. Se non le dico nulla mangia senza una fine. Se glielo vieto si abbuffa”.
Siamo due statue. Brutte copie delle originali.
“Lei al corso ci suggeriva di cercare le perle nei nostri figli. Prego” dice allargando le braccia, i palmi delle mani rivolti al cielo. Sembra mi stia passando il suo fardello.
In un istante il volto si accartoccia in un’espressione di dolore. “Mi vergogno di lei” sussurra. Le lacrime sciolgono il ghigno. “Guardo Angelica e provo ribrezzo. Quel collo, tutta quella carne…ovunque”.
I suoi singhiozzi mi arrivano fino all’anima.
Solo macerie davanti a me.
L’immagine di Elvira, così eterea, è un lontano ricordo. Ora è un tutt’uno con quella animale di sua figlia.
Mai così vicine.

Dal ventre del labirinto del Minotauro mi spunta un filo d’Arianna. “Se vuoi che le persone cambino dì loro di non cambiare”. Di non cambiare.
È giunto il momento di invitare Elvira a cercare la perla tra tutti questi ruderi. Una sfida più ardua che trovare un ago in un pagliaio.
Elvira, tifo per te. So che ce la puoi fare. Che c’è di bello in Angelica? Dai…dai…
I suoi occhi cominciano a muoversi, a destra e a sinistra, ripetutamente. Cosa stia sfogliando non lo so ma ad un certo punto affiora un ricordo.
“Angelica ed io avevamo un rito quando era bambina. Tutti gli anni in montagna compravano un vasetto di sali colorati. Com’era bello farle il bagno. Quanta spensieratezza” dice con aria trasognata. Mi fa tenerezza quando confessa che quei sali, lei, li compra ancora.
La mente è strana davvero, a volte va nel passato come per prendere la rincorsa. Sento l’arco che si tende e tira indietro. Ed ecco che scaglia la sua freccia. “E se proponessi ad Angelica di farle un bagno?”. Fatico a non strabuzzare gli occhi.
Penso: è la fine.

Due settimane dopo.
Elvira entra in studio. Nel suo sguardo un cestino di fragole appena raccolte.
Volete sapere com’è andata? Allora sedetevi belli comodi.
Siamo nella stanza da bagno.
La telecamera inquadra Angelica adagiata nella vasca. Il vapore la avvolge e ci restituisce un’immagine color seppia. Sembra una di quelle vecchie foto tanto tutto è immobile.
Poi uno sciacquio. Arriva ovattato. Una spugna si immerge. La vediamo strizzata con grazia. Entra ed esce dal profilo dell’acqua.
La telecamera si allarga. Dietro Angelica c’è Elvira seduta su uno sgabellino malfermo. Scricchiola ogni volta che intinge la spugna e la passa sul collo della figlia, quel collo che fino a qualche giorno fa era sembrato così mostruoso.
Piccoli gesti che sanno di eterno. La spugna entra ed esce, senza tempo.
Angelica muove lentamente il capo all’indietro, solo di qualche grado.
Per rispetto abbassiamo il volume.
Le labbra di Angelica si schiudono in un inequivocabile “Mamma… bentornata”.

E ora, immagino, vorrete sapere il seguito.

Angelica ha iniziato a farsi seguire da un endocrinologo e bla bla bla.

Cosa ha consentito questo cambiamento? Quel “Mi vai bene così come sei, guai a te se cambi”, racchiuso in un gesto.
A distanza di mesi Elvira è tornata. Mi rassicura “No, no, non è per Angelica. È per mio marito”.
Ma questa è un’altra storia.