Un nuovo modo di intendere i videogames

di Nicola Conti

videogames e lavoro psicologico

I videogames sono negativi! È molto facile pensare che i videogiochi possano condurre i nostri giovani a condotte violente o affermare che siano assolutamente diseducativi.

In realtà, studi recenti e l’esperienza clinica di numerosi psicologi, psicoterapeuti e non solo, hanno permesso di rivalutare l’utilizzo dei videogames, considerandoli come un valido strumento di lavoro al pari di un test proiettivo.

Prima di tutto il videogioco può essere un modo per creare una relazione con un utente, irraggiungibile attraverso gli strumenti ortodossi. Della serie: “Se la montagna non va da Maometto, Maometto va alla montagna”.

Infatti nella professione psicologica risulta fondamentale avvicinarsi all’Altro, potendo comunicare lo stesso linguaggio.

E il videogioco, in quanto tale, può costituire un valido alleato nell’intento di rapportarsi con un’utenza di un certo tipo, per esempio chi soffre di ritiro sociale.

Precedentemente il videogioco è stato accostato ai famosi test proiettivi. Con ciò non si vuole intendere che esso si possa sostituire ad un Rorschach o ad un Blacky, ma sicuramente per le sue caratteristiche

intrinseche permette al videogiocatore di investire una parte di sé all’interno di una narrazione o di identificarsi con un personaggio.

Ed è proprio su quest’ultima dimensione che vorrei porre l’accento.

Non costituisce una stranezza il fatto che i videogiocatori si identifichino con i personaggi dei loro videogames preferiti. Così come in un film o in un libro, anche in ambito videoludico accade lo stesso. Questa è una tendenza naturale dell’essere umano.

Le emozioni vissute da chi gioca, grazie alla trama, alla caratterizzazione psicologica dei protagonisti e alla grafica hanno la capacità di imprimere nella mente una traccia potentissima, che ha a che fare anche con la propria identità.

Ma in che modo le dimensioni identitarie possono confluire all’interno di un videogame?

Secondo James Paul Gee (2007) esistono tre categorie identitarie: un’identità nel mondo reale, un’identità virtuale ed un’identità proiettiva.

L’identità nel mondo reale combacia con il soggetto in carne ed ossa, che vive e agisce appunto nella realtà.

Questa forma di identità però non costituisce l’unica possibile e gli addetti ai lavori sanno bene quanto all’interno del costrutto di identità possano confluire una serie di aspetti complessi e variegati.

Innanzitutto la realtà fisica si traduce in una miriade di piccoli dettagli come il sesso, il colore degli occhi o dei capelli.

Sono questi aspetti a influire e a venire influenzati dall’esperienza videoludica.

Il secondo tipo di identità, quello virtuale, è legata al personaggio che il giocatore intende interpretare all’interno del mondo videoludico.

Identità reale e virtuale sono profondamente interconnesse, visto che i vissuti legati ai fallimenti o ai successi nei videogames sono similari a quelli esperiti nella vita reale.

Infine abbiamo l’identità proiettiva la quale possiede due dimensioni.

La prima dimensione si riferisce agli elementi che il soggetto proietta sul suo avatar digitale. Tra questi elementi ritroviamo i valori, i bisogni, la sfera emotiva e molto altro.

La seconda dimensione contempla il fatto che il personaggio virtuale rispecchi la propria volontà e il proprio agire all’interno del mondo fittizio dei videogiochi.

Per cui il proprio avatar è capace di imprese, che nella realtà non si potrebbe nemmeno immaginare di compiere.

Infatti nei videogames è possibile interpretare chiunque e comportarsi in modalità non possibili nella vita di tutti i giorni. Secondo tale modo di concepire le cose, l’identità e la personalità costituiscono elementi flessibili e non immutabili.

La scelta di un personaggio piuttosto che un altro o la costruzione di un avatar sono dovuti anche alla percezione di sé (Sé percepito) e da chi si vorrebbe diventare o essere (Sé ideale). Questa scelta influenza a sua volta il modo in cui viene costruita l’identità reale, all’interno di un feedback costante e continuo.

In conclusione è possibile affermare che i videogiochi siano, a tutti gli effetti, dei potenti artefatti che permettono di riflettere su di sé e anche sulle proprie modalità relazionali.

Bibliografia

Gee, J. P. (2007). What Video Games Have to TeachUsabout Learning and Literacy. LLC: St. Martin’s Press.