Il corpo del docente 2. Il corpo relazionale
Come seconda tappa di questo percorso in cui stiamo affrontando i temi riguardanti il ruolo del corpo del docente, introdurremo il concetto, per noi fondamentale, di corpo relazionale.
Sia detto prima di ogni approfondimento che quando noi parliamo di “corpo” intendiamo tutto il nostro corpo, e quindi anche quella sua funzione che chiamiamo “mente”.
Se andiamo a osservare le prime fasi dello sviluppo di un soggetto, ci rendiamo facilmente conto che il corpo e la sua particolare attività definita, appunto, la mente, si costituisce non solo per così dire, biologicamente e al momento della nascita, ma anche per una sorta di graduale gemmazione del corpo, e quindi anche della mente, di chi lo sta accudendo.
Una gemmazione che per realizzarsi non ha sempre e costantemente bisogno dello stretto contatto fisico.
Questo processo può essere descritto anche come una serie di reciproche plasmazioni e riplasmazioni. Pensiamo agli studi e alle osservazioni di Donald Winnicott riguardo quella che definì Preoccupazione Materna Primaria e a quelli di Daniel N. Stern sull’alternanza di fasi sincroniche e non sincroniche nell’interazione tra bambino e caregiver.
Nascere quindi non basta, ognuno di noi essendo, inevitabilmente, il prodotto di sempre in qualche modo attive, relazioni corporee e quindi anche mentali.
Tale interdipendenza, assai evidente nelle prime tappe dello sviluppo in realtà continua per tutta la vita. In qualche modo il nostro corpo e la nostra mente restano pertanto sempre condivisi e costantemente relazionali, come peraltro dimostrano gli studi dei ricercatori dell’università di Parma che negli anni ’90 dell’altro secolo hanno scoperto i Neuroni Specchio.
La descrizione del nostro corpo mente come monade non è ovvia e scontata, l’antropologia culturale ampiamente spiegandoci che si tratta di una modalità affermatasi nelle culture dell’homo sapiens sapiens solo recentemente, forse nemmeno diecimila anni fa, ben poco rispetto gli almeno due o trecentomila anni della nostra storia di specie.
Tanto per intenderci sia pure grazie a qualche rozza schematizzazione, nelle culture cosiddette arcaiche potevamo per un certo periodo essere posseduti dallo spirito dell’aquila, in un altro invece soprattutto rispecchiarsi in questo o in quell’altro antenato.
Insomma, ognuno di noi è sempre una sorta di dinamico collage di alterità. E questo calderone ribolle per tutta la vita.
Chi di noi non ha avuto il lutto di una persona cara o anche, semplicemente non frequenta più un’ amica, un docente, un compagno o una compagna che comunque erano per lui assai significativi?
A chi di noi non è mai capitato, in un momento complicato, di pensare a quella persona chiedendosi: “Come si sarebbe comportata in questa situazione?“.
Un’ introiezione è maggiore e tanto più efficace se c’è un filing emotivo. Tutto questo, esattamente come quando siamo bimbi, è veicolato fondamentalmente da ritmi corporei.
Nel momento in cui avviene questo dialogo con la persona in quel momento comunque assente, ci immaginiamo come questa sia vestita, come si muova, la prosodia della sua voce. Questi corpi altrui ma non del tutto altrui, continuano quindi ad agire in noi, a volte sembrando dei soggetti autonomi e a volte come se ne facessimo l’imitazione. Essendo in quel momento sia noi che loro.
Riferiamo ora tutto questo ai contesti formativi. Nel momento in cui costruisco una relazione significativa con un docente, un maestro efficace, è come se costui mi ripetesse, grazie ad un processo di introiezione identificativa, la sua lezione per tutta la vita o almeno finché non l’abbia appresa.
Se questo docente emotivamente e cognitivamente significativo mi ha insegnato qualcosa di veramente importante, potrò quindi continuare a lavorarci anche dopo tanto tempo che non ho più a che fare “fisicamente” con lui.
Potrò ancora letteralmente giocare con i concetti che mi ha insegnato, proprio come fossero oggetti concreti, attivi dentro di me, riorganizzandoli anche secondo schemi nuovi. Questa introiezione sarà tanto più efficace quanto nel nostro rapporto vi sia stato un coinvolgimento emozionale e quindi tanto quanto sia stato in grado di ricostruirmi il suo corpo che è anche la sua mente, attivo, dentro di me.
Un docente in grado pertanto di armonizzare la sua ritmicità corporea, il suo andamento prosodico con il testo della sua materia, e quindi in qualche modo consapevole di essere un Corpo Relazionale che interagisce con altri Corpi Relazionali, di certo avrà una marcia in più e l’avranno anche i suoi allievi.
A proposito di questo continuo riplasmare le proprie e le altrui identità, dopo vari confronti, il nostro gruppo di lavoro ha deciso di cambiare nuovamente nome. Tra poco anche sul sito della nostra Scuola di Arteterapia comparirà il nuovo conio di “Poliscreativa”, in continuità quindi con i nostri nomi del passato, “Materica” e “Lacerva”, tanto per ricordarne un paio. E, chissà, forse anche in continuità con quelli del futuro.