LA PSICOLOGIA DELL’EMERGENZA

La Psicologia dell’emergenza è un ambito della psicologia che opera a seguito di eventi critici improvvisi e imprevedibili, ossia in tutte quelle situazioni fortemente stressanti che mettono a repentaglio il benessere del singolo individuo, di una comunità o di un intero Stato (disastri). 

Gli eventi critici possono essere rappresentati da calamità naturali (terremoti, alluvioni, valanghe ecc.), disastri tecnologici (ad esempio incidenti chimici, batteriologici, nucleari), sanitari (epidemie e pandemie), sociali (attacchi terroristici, sparatorie ecc.) o gravi incidenti stradali o sul lavoro.

 Questi possono minare l’integrità psico-fisica di ogni individuo che ne sia vittima diretta e di chiunque gli stia accanto: per tale motivo la psicologia dell’emergenza, si occupa sia delle persone direttamente coinvolte negli eventi critici (vittime primarie) sia dei loro familiari e amici e delle persone che sono state testimoni dello stesso evento (vittime secondarie) sia dei soccorritori (vittime terziarie) e della comunità ove gli eventi critici si sono verificati. Si occupa altresì di previsione e prevenzione dei rischi e di programmazione e gestione dei soccorsi

Negli interventi di emergenza si usano due tecniche fondamentali: Defusing e Debriefing.

Il defusing, che letteralmente significa disinnescare, è un intervento che si svolge subito dopo la situazione d’emergenza; dunque, viene chiamato “intervento emotivo a caldo”. Viene strutturato coinvolgendo piccoli gruppi di persone (circa 10) e ha una durata circa 20-40 minuti. 

Gli obiettivi di questo tipo di intervento sono quelli di fornire rassicurazione, sostegno e informazione, attraverso il rafforzamento dei legami gruppali e la normalizzazione del carico emotivo. Infatti, i partecipanti vengono avviati ad un percorso di comprensione delle proprie sensazioni e sentimenti legandoli all’aspetto temporale dell’esperienza in questione. 

Tramite il defusing, possono essere individuate persone destabilizzate in maniera importante per le quali questa tipologia di pronto soccorso non basta ma che necessitano di essere rimandate a ulteriori interventi. 

Uno di questi è appunto chiamato debriefing. Questo, come il defusing, ha come obiettivo di integrare la componente cognitiva con quella emozionale ed ha una strutturazione diversa, rispetto al defusing, da un punto di vista temporale e organizzativo. Viene infatti chiamato “intervento emotivo a freddo”, viene organizzato dopo circa 24-48 ore dall’esposizione all’evento e ha una durata di non più di 12 settimane. 

L’intervento è condotto da uno psicologo e/o psicoterapeuta. Se al termine dell’intervento dovessero esserci ancora segni di destabilizzazione, potrebbe essere fatto un rinvio a percorsi più strutturati, contattando, previo consenso della persona coinvolta, eventuali professionisti e organizzazioni specializzate sul territorio.  

L’obiettivo finale di questi due tipi di intervento, del cosiddetto “pronto soccorso emotivo”, è quello di favorire una integrazione tra le componenti cognitiva, emotiva e spazio-temporale dell’evento. In questo modo i pezzi del puzzle, prima scomposti e frammentati, potranno trovare una loro collocazione e fornire un’immagine chiara e completa.

In relazione al difficile periodo che si sta vivendo, tra pandemia e l’inizio di una guerra assurda, che ha colpito la popolazione Ucraina, l’intervento della psicologia dell’emergenza è sicuramente fondamentale per garantire il benessere della popolazione, con la speranza che tutto questo possa finire al più presto.

“Vincere una guerra non basta. È più importante organizzare la pace.” (Aristotele)