MIO FIGLIO NON PARLA ANCORA:IL RITARDO DEL LINGUAGGIO
Non tutti i bambini sviluppano il linguaggio allo stesso modo e negli stessi tempi. Ecco quando si può parlare di ritardo del linguaggio se un bambino di 2 anni ancora non parla.
Cos’è il ritardo del linguaggio
L’espressione ritardo del linguaggio indica bambini che, senza presentare particolari deficit uditivi, cognitivi e relazionali, sviluppano il linguaggio in ritardo rispetto alla media generale.
Di solito, intorno ai 2 anni un bambino possiede un discreto vocabolario e inizia già a formare le prime frasi, ma questa non è una regola che vale per tutti.
Alcuni bambini iniziano a parlare più tardi di altri e vengono definiti parlatori tardivi.
Il ritardo non è un’etichetta diagnostica, ma una condizione clinica che può essere solo transitoria.
Quali segnali indicano che un bambino è un parlatore tardivo?
Vengono riconosciuti due principali criteri sulla base dei quali è possibile parlare di ritardo.
Ad oggi, sono definiti Parlatori Tardivi i bambini che:
- a 24 mesi producono un numero di parola inferiore a 50
e/o
- a 30 mesi non hanno sviluppato la capacità di combinare due parole (ossia non provano a formare le prime piccole frasi).
Possibili evoluzioni del ritardo del linguaggio
L’età dei 3 anni rappresenta uno spartiacque tra un parlatore tardivo e un bambino con un probabile disturbo del linguaggio. Oltre questa età e solo dopo la valutazione di uno specialista, è possibile diagnosticare un Disturbo Specifico di Linguaggio.
Quindi, dopo i 3 anni, le possibili evoluzioni di un ritardo del linguaggio sono due.
- Recupero spontaneo del ritardo linguistico senza necessità di trattamento specifico
Permanenza di un disturbo del linguaggio. In questo caso, sarà necessaria una valutazione più approfondita.
Quando si manifesta il ritardo
Gli antecedenti si possono cogliere già nella fase della lallazione, a partire dai 10 mesi, in cui l’aumento della varietà dei suoni emessi dal bambino prepara l’acquisizione delle prime cinquanta parole. Il ritardo o l’assenza di questa fase è un indicatore di difficoltà, per le evidenti restrizioni che imporrà al successivo sviluppo del vocabolo. Alcuni bambini usano in genere un maggior numero di gesti comunicativi per compensare il vocabolario espressivo limitato. Sono più capaci e più veloci nel riconoscere parole familiari associandole a immagini o a oggetti, e parole non familiari dopo averle sentite solo qualche volta. Presentano una comprensione verbale in linea con l’età o lievemente immatura. I parlatori tardivi, invece, hanno un vocabolario molto più ridotto, generalmente inferiore alle trenta parole, simile a quello di bambini più piccoli; le abilità nel produrre parole con consonanti diverse sono piuttosto scarse e questo li penalizza nell’apprendimento di parole nuove, perché non sono in grado di produrre molti dei suoni linguistici in esse contenute. Inoltre risulta più frequente l’associazione di vocabolario ridotto e ritardo nella comprensione.
Intervenire prima possibile
È importante identificare precocemente un bambino con lento sviluppo del linguaggio, perché ciò permette di comprendere se il ritardo iniziale è soltanto transitorio o è dovuto a condizioni che possono compromettere o rallentare il recupero. L’intervento precoce centrato sullo scambio comunicativo e linguistico tra bambino e genitore agisce sull’interazione tra sviluppo del bambino e sviluppo nel suo contesto, in modo da preservare il benessere del piccolo. Coinvolgere i genitori e promuovere nel bambino una gamma di abilità socio-comunicative e linguistiche “tipiche” potrebbe modificare la storia naturale del disturbo migliorandone l’esito intorno ai 3 anni.
Un ruolo fondamentale è rappresentato dalla scuola. Capita spesso che i genitori sottovalutino il problema con giustificazioni del tipo “si fa capire a modo suo”. In questi casi una tempestiva segnalazione degli insegnanti può allertare e sensibilizzare i genitori.
Spesso i genitori tendono a risolvere il problema imparando a comunicare con i figli attraverso gesti. Ecco che un gesto familiare può significare “vorrei dell’acqua” o “vorrei dormire”. Queste traduzioni non fanno altro che rimandare il problema. In questi casi rivolgersi ad uno specialista tempestivamente per accedere ad una eventuale diagnosi e farsi sostenere da uno psicologo sono gesti di forte cura e responsabilità verso i propri figli.