Nascere non basta
Nascere biologicamente non basta. Si acquisiscono caratteristiche umane solo grazie a un complesso processo in grado di farci appartenere a quell’insieme, molteplice e sempre in movimento, che sono le comunità degli homo sapiens sapiens.
Questo processo dura per tutta la vita e consiste in una costante e reciproca attività di rielaborazione.
Reciproca nel senso che in ogni momento siamo ricostruiti e ricostruiamo le nostre comunità di appartenenza e, sempre nello stesso momento, le comunità di appartenenza sono costantemente da noi ricostruite e ci ricostruiscono.
Questo processo, per sua natura non può mai del tutto riguardare solo un individuo, ma è sempre anche collettivo.
Tutto questo vuol dire in continuazione condividere e rielaborare, anche nel profondo, linguaggi, miti, valori etici, forme artistiche, credenze magico religiose e le storie complesse di tutta la nostra specie.
Quindi anche dialogare con quell’area universale che oggi noi, con una parola coniata dai filosofi della cosiddetta cultura occidentale, chiamiamo trascendenza.
A trasmetterci di generazione in generazione il testimone di quell’appartenenza non è stato soltanto il sempre più mitizzato DNA ma il corpo ritmico e accudente di chi si è preso cura di noi fin da bambini e quindi soprattutto il corpo delle donne. Non solo quello delle donne, ma soprattutto il corpo delle donne.
Da quando in Africa, più o meno trecentomila anni fa, il bingo della selezione naturale ha partorito gli homo sapiens sapiens questi hanno messo costantemente in scena della procedure che oggi con le nostre stesse categorie attuali ci apparirebbero anche come franche pratiche artistiche, proprio per le tecniche e le modalità allora usate, dai più vari materiali fino alla ritmicità sincronizzata nella danza dei corpi, alle musiche e alla messa in scena delle mitologie fondanti le comunità.