L’odio: riconoscerlo dentro di noi
L’odio ci appartiene tutti. Riconoscerlo è fondamentale per la responsabilità che abbiamo verso noi stessi, gli altri e la vita.
La parola odio indica uno stato emotivo di grave e persistente avversione verso qualcosa o qualcuno. Un sentimento opposto all’amore, caratterizzato dal desiderare il male o la rovina di un oggetto, che può anche essere il proprio sé o la vita propria o altrui.
Come l’amore, l’odio può rendere dipendenti, incatenare all’oggetto e portare a pensarlo costantemente. Nei casi estremi, può persino dare senso all’esistenza. Ma mentre l’amore nutre e apre alla vita, l’odio corrode. Trasfigura l’esperienza umana, porta alla morte e alla distruzione.
La teoria della struttura triangolare dell’odio
Secondo Sternberg, l’odio non corrisponde ad una sola emozione ma al punto di intersezione di molteplici elementi. La teoria della struttura triangolare descrive l’odio e le sue forme in base a tre aspetti, presenti anche nell’amore: impegno, intimità (nei termini di una negazione della stessa) e passione.
In base alla caratteristica “impegno”, si attiva un meccanismo di svalutazione che porta a sentimenti di superiorità e disprezzo: l’altro viene considerato inferiore. E’ ciò che Sternberg definisce “odio gelido”.
La negazione dell’intimità si esprime nel tenere a distanza l’oggetto percepito come negativo. Su questo aspetto si sviluppa l’“odio freddo”, caratterizzato da pregiudizi e sentimenti di disgusto verso l’altro in quanto diverso da sé.
L’odio come passione, invece, si riempie di rabbia e diventa “odio caldo”: aggredisce. Sfocia in violenza. Oppure, mosso dalla paura, porta a fuggire dagli altri ritenuti dannosi.
Queste prime tre forme di odio, combinandosi tra loro, danno origine ad altre forme di odio. Ad esempio, alla forma silente e nascosta dell’“odio sobbolente”, tipica degli omicidi spietati e premeditati eseguiti ad opera di persone insospettabili. Fino alla forma dell’”odio bruciante”, che spinge ad annientare il nemico e ad utilizzare ogni mezzo per eliminarlo definitivamente. L’odio può creare comunità. La storia umana è piena di coalizioni basate proprio sull’odio condiviso, da cui sono scaturite guerre, violenze e barbarie di ogni genere.
Odio, invidia e narcisismo
Citando Lacan: “l’odio è una passione lucida che colpisce al cuore il nemico, è una pianificazione di annientamento”. Più che per ciò che dice o fa, l’altro è odiato per com’è. Per il colore della pelle, perché è donna, perché è omosessuale. L’odio ha alla sua base il meccanismo della proiezione. Sull’altro viene trasferito il lato più oscuro e inaccettabile del proprio essere. Oppure, l’immagine idealizzata, e per questo irraggiungibile, di se stessi. L’odio nasconde dunque parti proprie rifiutate ed escluse. Nasce dall’impossibilità di elaborare le proprie ferite narcisistiche, le proprie perdite, i propri lutti.
Ne “Il gesto di Caino”, Recalcati descrive l’odio di Caino per Abele nella sua matrice invidiosa e narcisistica. Caino non sopporta che Dio abbia rifiutato i suoi doni e scelto quelli di Abele, né sopporta la vita di Abele, più viva della sua. Caino uccide il fratello perché non accetta di perdere il privilegio e l’illusione onnipotente di essere l’unico. Come Edipo, vuole essere l’unico uomo per sua madre. Rifiuta l’altro, l’alterità: vuole essere l’unico figlio al mondo. E, come Narciso, resta prigioniero nell’adorazione del proprio Io, non vuole rinunciare all’immagine grandiosa di sé.
La vicenda di Caino mostra come questi conflitti interni, che avvelenano e accecano, se non riconosciuti ed elaborati, portano ad agire disperatamente. Conflitti che non sono una regressione all’istinto animale, come la credenza comune vuole, ma che appartengono esclusivamente agli esseri umani. Nel mondo animale, infatti, non esiste il crimine. La violenza è dettata da necessità naturali dell’organismo, di difesa e attacco. La violenza umana è invece dominata dalla tendenza a voler eliminare l’alterità dell’altro che, nella sua stessa esistenza, minaccia quello stato originario di onnipotenza e grandiosità che non si vuol perdere. E che arriva ad avere più valore della vita stessa.
Il seme dell’odio
Esiste un Caino in ognuno di noi. Ma se è facile rintracciarlo nelle guerre e nelle manifestazioni feroci della violenza, può essere difficile accettare come sia prossimo a noi, nella nostra cultura, nella nostra quotidianità, nelle nostre relazioni, e, persino, dentro noi stessi.
Il seme dell’odio si diffonde ogni giorno. Nel rifiuto dell’altro, con le sue caratteristiche e la sua individualità. Attraverso modi di pensare, sentire e agire in apparenza poco rilevanti ma su cui si innestano le più grandi atrocità umane.
A livello conscio, i valori dell’uguaglianza ispirano la maggior parte delle persone. Eppure, intolleranza e discriminazione sono fenomeni sempre in espansione, con modalità spesso subdole e alcune volte sconosciute anche a chi appartengono. Manca consapevolezza e, ancor di più, l’assunzione di una responsabilità individuale e sociale. “Sono forse io il custode di mio fratello?”, risponde Caino, dopo il suo gesto fratricida. Si tratta di una responsabilità che abbiamo sempre. Quando ci chiudiamo nell’invidia dell’altro, anziché aprirci alla nostra vita. Quando alimentiamo pregiudizi, rifiutiamo gli altri per come sono, proviamo desiderio di possesso o di vendetta e quando agiamo questi sentimenti. Ma non solo. Siamo responsabili anche nella connivenza. Tutte le volte che non prestiamo alcun aiuto, che non diamo il nostro contributo per contrastare la cultura dell’odio e sviluppare una umanità migliore.
Riconoscere l’odio
Riconoscere l’odio è il primo passo fondamentale per comprendere gli aspetti cognitivi ed emotivi che lo costituiscono ed attivare le risorse necessarie per superarli, perché non si tramutino in azione. Pregiudizi basati su convinzioni radicate, difese antiche erette allo scopo di evitare il crollo derivante dalla perdita dell’onnipotenza che il confronto con l’altro implica. L’odio come fallimento dei processi che portano a superare la ferita narcisistica e l’invidia. Riconoscere l’odio ci consente di guardare cosa stiamo rifiutando di noi stessi, dell’altro e della realtà. Di riappropriarci degli aspetti alienati del nostro essere. E così di accogliere l’alterità come ricchezza, come evoluzione. Di accogliere il nemico che vive in noi, lo straniero che abita la nostra casa, e sviluppare un senso di appartenenza e di comunità che dia valore al confronto e alla condivisione. Ci consente di amare.
Bambina mia,
per te avrei dato tutti i giardini
del mio regno se fossi stata regina,
fino all’ultima rosa, fino all’ultima piuma.
Tutto il regno per te.
Ti lascio invece baracche e spine,
polveri pesanti su tutto lo scenario
battiti molto forti
palpebre cucite tutto intorno. Ira
nelle periferie della specie. E al centro
ira.
Ma tu non credere a chi dipinge l’umano
come una bestia zoppa e questo mondo
come una palla alla fine.
Non credere a chi tinge tutto di buio pesto e
di sangue. Lo fa perché è facile farlo.
Noi siamo solo confusi, credi.
Ma sentiamo. Sentiamo ancora.
Siamo ancora capaci di amare qualcosa.
Ancora proviamo pietà.
C’è splendore
in ogni cosa. Io l’ho visto.
Io ora lo vedo di piú.
C’è splendore. Non avere paura.
Ciao faccia bella, gioia piú grande.
Il tuo destino è l’amore.
Sempre. Nient’altro.
Nient’altro nient’altro.
Mariangela Gualtieri