Vittimismo: la tendenza a lamentarsi e passivizzarsi

Il vittimismo è più di un particolare atteggiamento. E’ un modo di stare al mondo che poggia su una posizione esistenziale di non Okness.

Le persone che tendono a fare la vittima sono inclini al lamento, vivono in un costante senso di insoddisfazione e attribuiscono questo loro stato a fattori esterni. Nel vittimismo è centrale l’accusa rivolta verso se stessi, gli altri o, in generale, la vita, cui si accompagna un forte senso di ingiustizia. Vi è dunque una svalutazione della persona circa la propria responsabilità. Si tratta di una forma di passivizzazione, di carente o mancata attivazione delle risorse necessarie per soddisfare i bisogni evolutivi e realizzativi.

Il vittimismo e le emozioni

Chi fa la vittima ha una immagine di sé di persona sfortunata, incapace: “Non so fare niente. Ma che ci posso fare se sono fatto male? Non è giusto“. Tende a proiettare sugli altri il rifiuto e la critica verso se stesso: “Nessuno mi vuole, ce l’hanno tutti con me“. Ad autoccomiserarsi e a colpevolizzarsi: “Povero me, non cambierò mai. Sbaglio sempre tutto“. Il mondo interno è abitato da sentimenti di inadeguatezza, impotenza, colpa, rabbia, rancore. Emozioni che, il più delle volte, non sono integrate ma vengono portate fuori mediante acting-out e la persona resta bloccata in un cortocircuito.

La relazione con gli altri

La “vittima” tende a ricercare nell’altro un “salvatore” o un “persecutore“. Si pone in una posizione infantile richiedente e bisognosa (io non sono Ok) e proietta all’esterno un genitore salvifico (io non sono Ok- tu sei Ok) o un genitore critico e rifiutante (io non sono Ok- tu non sei Ok). Nel primo caso, tende a manipolare attraverso comportamenti seduttivi o mettendosi in pericolo. Nel secondo caso, sono più in figura comportamenti provocatori e ribelli. Non di rado, sulla base delle risposte che riceve dall’ambiente, chi fa la vittima si autorizza ad agire la propria rabbia diventando a sua volta un persecutore nei confronti dell’altro.

La ripetizione di esperienze antiche

Mediante il vittimismo la persona riattualizza nel presente le esperienze del passato. Manipola con le modalità apprese in epoca infantile. Ma, mentre da bambino la manipolazione ha rappresentato il miglior adattamento possibile alla realtà, da adulto è ciò che gli impedisce di star bene e realizzarsi. Di fatto, con il vittimismo si confermano le dinamiche dipendenti e i vissuti di allora. Si mantiene in piedi il copione di vita, con tutti i suoi aspetti limitanti.

Il lavoro in psicoterapia

La persona ha bisogno di liberarsi del funzionamento manipolativo in favore di una maggiore consapevolezza e responsabilità. Di lasciar andare gli appoggi esterni e la dipendenza, per sviluppare autonomia. Di ritirare il lamento e l’accusa per guardare di più a se stesso come artefice della situazione che vive. Ha bisogno di imparare a riconoscersi, in tutte le proprie parti. Di realizzare l’Okness, ovvero la posizione “io sono Ok-tu sei OK”. Di sperimentare la fiducia, per costruirla come sentimento di base, di sostegno al vivere. E’ un lavoro che passa per la sofferenza autentica delle ferite antiche.