Quando il rifiuto è difficile da tollerare

Il rifiuto è uno dei temi più presenti in terapia, sia sul piano delle paure sia su quello della realtà concreta. Per la gran parte delle persone, è un’esperienza difficile da gestire.

Le varie forme di rifiuto che possiamo ricevere

L’esperienza del rifiuto può assumere diverse forme ed avere un impatto più o meno significativo su noi stessi, sulla relazione con l’altro e sulla nostra vita in generale. L’altro può rifiutare una nostra proposta, un nostro invito, qualcosa che noi gli offriamo o che gli chiediamo. Così come può rifiutare alcuni nostri comportamenti e talvolta anche rifiutarsi di proseguire la relazione con noi. In ogni caso, il rifiuto è un “no” che noi riceviamo dall’esterno.

Il rifiuto inevitabilmente procura una certa frustrazione cui possono accompagnarsi diverse emozioni. Dispiacere, delusione, paura, rabbia. A volte, però, può essere intollerabile e la reazione, sia interna che esterna, non del tutto coerente con la situazione reale. Si tratta di una risposta che solo in una quota ha a che fare con quanto sta accadendo, mentre in gran parte è riconducibile ad un irrisolto che la persona ha dentro di sé.

Perchè il riifuto fa così male?

L’essersi sentiti rifiutati da bambini, in genere, è ciò che porta, nella maggior parte dei casi, ad avere da adulti difficoltà ad elaborare il rifiuto. Il rifiuto vissuto da bambini può appartenere ad esperienze di abbandono ma, più comunemente, al non essersi sentiti accettati per il proprio modo di essere. Così, la persona adulta che non ha elaborato la ferita originaria, invece di viversi l’esperienza del “no” che riceve oggi, entra nel rifiuto di sé e rivive quanto vissuto allora. Sente di non poter essere apprezzata e amata così com’é: “l’altro mi rifiuta perchè non vado bene”. La svalutazione di sé può assumere varie connotazioni, ad esempio: “Non sono abbastanza, sono un incapace, non sono degno di amore”.

L’essersi sentiti, al contrario, sempre approvati e accontenati in qualsiasi richiesta, può ostacolare l’elaborazione del rifiuto come impossibilità di lasciar andare quel senso infantile di specialità e integrare una esperienza diversa. La svalutazione verso se stessi qui è implicita nel tentativo di conservare il privilegio antico come unico modo per riconoscersi e sentirsi riconosciuti.

In altri casi, invece, vi può essere stato da bambini il ricorso a difese narcisistiche come migliore forma possibile di adattamento all’ambiente. In questo caso, la persona si protegge in una illusoria perfezione infantile. Evita di coinvolgersi emotivamente e svaluta l’importanza che l’altro ha per sé. Tenta in questo modo di tenere fuori l’esperienza del rifiuto per evitare il crollo dell’immagine di sé costruita fino a quel momento.

In ogni caso, alla base della personalità vi è una carenza di autoriconoscimento.

La paura del rifiuto

Il riifuto può essere molto presente anche sul piano delle fantasie come scenario catastrofico che condiziona l’esistenza. La persona può sottrarsi al contatto con l’esterno o affrontarlo con l’idea che sarà rifiutato. Oppure leggerà come rifiuto ciò che di fatto non lo è, applicando un filtro sulla realtà che gli impedirà di vedere le cose per come sono. Altre volte, lo scenario può essere salvifico, di riscatto dal proprio copione. Mentre altre volte ancora, il rischio di essere rifiutati può essere negato. In ogni caso, ne deriveranno una serie di evitamenti e manipolazioni che la persona metterà in atto per confermare il rifiuto o ricercare l’approvazione all’esterno, rimanendo nella svalutazione. Da questa posizione infantile, la persona non può attivare il proprio Adulto. Non può riconoscere adeguatamente la realtà nè trovarvi risposte congruenti. Resta dipendente, nella proiezione di aspetti propri non integrati e nella riproposizione del passato.

Il riifuto come esperienza sana

Il “no” serve a individuarsi e a differenziarsi. A separarsi dall’altro. A riconoscere i confini e a rispettarli. Attraverso il “no” che riceve dall’ambiente, il bambino incontra l’esterno. Se questo limite è sano e protettivo, cioè non svaluta e non attacca l’essere, il bambino imparerà a riconoscere sia se stesso che l’altro e la realtà in cui vive in modo adeguato.

Come esperienza sana, il rifiuto ha a che fare con un rischio che bisogna correre per vivere. Per crescere e realizzarsi e avere rapporti autentici. Quando incontriamo gli altri, quando presentiamo il prodotto del nostro lavoro, quando ci mostriamo con la nostra spontaneità, quando ci esponiamo nella nostra intimità, in ogni piccola o grande esperienza di vita, le cose possono non andare secondo i nostri desideri e secondo le nostre aspettative. Tollerare questa possibilità, affrontarla come una esperienza frustrante e talvolta anche dolorosa ma che nulla toglie al nostro valore e a ciò che siamo come persone, diventa obiettivo centrale di ogni terapia.