Vedere l’altro per ciò che è

Vedere l'altro per ciò che è

Vedere l’altro per ciò che è realmente vuol dire abbandonare le aspettative e i processi di proiezione della posizione infantile.

La ferita narcisistica

L’incapacità di vedere l’altro è centrale nelle personalità narcisistiche, in cui vi è, a monte, una negazione della dipendenza e dei propri bisogni affettivi. Quando il bambino non viene adeguatamente riconosciuto dal proprio ambiente familiare, può difendersi ritirandosi in sé e nella propria onnipotenza. La protezione narcisistica, che consiste nel rifugiarsi in una perfezione infantile che offre illusione di sicurezza, nasconde al fondo un vuoto esistenziale dovuto al fatto di non essere stati visti dai propri genitori per ciò che si era. Non avendo fatto esperienza di amore, non si è in grado di amare. E, carenti di riconoscimento, lo si ricerca nella vita manipolando gli altri.

Sebbene sia peculiare in questo tipo di personalità, una certa difficoltà a vedere l’altro così com’è appartiene a tutti poichè ciascuno, a modo proprio, ha carenze di riconoscimento e la propria ferita antica.

Le proiezioni

All’interno delle relazioni accade abitualmente che l’altro venga investito di aspetti non riconosciuti di sé e di esperienze vissute nel passato con le proprie figure genitoriali.

Ad esempio: giudico come negativa l’aggressività per cui tendo a negarla e a proiettarla all’esterno. Di conseguenza, l’altro e il mondo diventano per me minacciosi. Posso proiettare emozioni, fantasie, pensieri. Aspetti che tento di escludere, che reputo proibiti, non desiderati. Che non riconosco in me ed attribuisco agli altri. Dunque, per vedere l’altro per ciò che è bisogna innanzitutto vedere se stessi per ciò che si è.

Facendo altri esempi: se proietto all’esterno un Genitore critico, tenderò a percepire ciò che mi arriva dall’altro come una critica anche quando non lo è. O, ancora, se proietto un Genitore idealizzato posso non riconoscere il comportamento svalutante assunto dall’altro nei miei confronti. E così via.

Questo gioco di proiezioni, che appartiene al fenomeno del transfert, impedisce sia di vedere l’altro sia di accedere ad un sentire autentico e coerente con quanto avviene nella realtà.

Le aspettative

Le aspettative ricoprono un ruolo determinante nelle relazioni. Risiedono nel Bambino della personalità e spesso anch’esse sono aspetti dipendenti. Possono essere grandiose o catastrofiche, di riscatto o conferma del proprio copione di vita.

Vi può essere l’aspettativa che l’altro debba approvarmi, capirmi, rendermi felice. Che debba farmi sentire speciale, che debba condividere i miei pensieri e le mie scelte. Che debba salvarmi. Oppure, non mi aspetto niente di buono, semmai credo che l’altro mi deluderà come tutte le persone della mia vita, confermandomi il mio finale di copione drammatico.

Le aspettative sono particolarmente presenti all’inizio di una relazione, specie di coppia. Insieme alle proiezioni, partecipano al processo di idealizzazione in base al quale si vede l’altro per come si vorrebbe che fosse e non per come è realmente. E’ infatti quando si rompe questo idillio iniziale che generalmente la relazione va in crisi. Quando emergono gli aspetti dell’altro inizialmente scotomizzati, bisogna fare i conti con la realtà. E’ grazie al contatto autentico, accettando l’altro per com’è, al di fuori di fantasie, aspettative ed ideali, che possiamo accedere ad una relazione matura e all’amore.

Superare la posizione infantile

Per vedere l’altro è necessario sviluppare una personalità adulta. Innanzitutto integrare quanto di sé negato, per poter ritirare le proiezioni. E, così, potersi riconoscere in tutte le proprie parti. Ciò risulta fondamentale per superare la posizione infantile e narcisistica in base alla quale l’altro non viene visto ma manipolato in relazione ai propri bisogni, in primis a quello di essere riconosciuto, e alle proprie aspettative.

Questo passaggio evolutivo consente dunque di vedere l’individualità dell’altro. Di saper distinguere ciò che appartiene a sé da ciò che appartiene all’altro. Di rispettare i confini interpersonali.

Io sono io. Tu sei tu. Io non sono a questo mondo per soddisfare le tue aspettative. Tu non sei a questo mondo per soddisfare le mie“, recita Fritz Perls nella nota preghiera della Gestalt.

E’ necessario diventare consapevoli che l’altro non ha il compito di doverci riconoscere o dare valore, di doverci dire cosa dobbiamo o non dobbiamo fare. Né di proteggerci. Siamo noi a doverlo fare. Assumendoci la responsabilità di noi stessi e della nostra esistenza.